Un viaggio in Oman

Ho trascorso con mia moglie la settimana pasquale in Oman, ultimo lembo di terra della penisola arabica, schiacciato tra alte montagne rocciose, deserto e Oceano Indiano. Terra di forte rigore musulmano ibadita e dottrina conservatrice, con un sistema di potere assolutista ereditario e infrastrutture moderne ed efficienti; il Sultanato presenta una nuova rete stradale, porti da sempre mèta di traffici con la vicina India e la Cina, un PIL fondato per oltre la metà su estrazione e raffinazione di petrolio e gas naturale, una condizione generale di vita più che accettabile con un Pil pro capite superiore alla media mondiale e pari a oltre 16mila euro a persona. La profonda educazione e la tolleranza della sua popolazione di poco superiore ai 4 milioni di persone –  come la Puglia – ne fanno un luogo ideale per chi vuole conoscere da vicino popoli e terre millenarie. Nel viaggio in auto abbiamo attraversato luoghi di bellezza trascinante come i Wadi, gole scavate dalla forza di fiumi eterni tra rocce ripidissime, facendo bagni in insenature naturali di acqua verde e pura; trascorso ore e notti magiche con famiglie beduine e cammelli, nel silenzio ventoso del deserto in cui le dune cambiano conformazione in poche ore e le orme segnate dal lento passare delle carovane, vengono costantemente cancellate dalla maestosità degli elementi primordiali; conoscendo la forza trascinante delle onde oceaniche del mare arabo, nuotando tra le tartarughe che depositano le proprie uova su spiagge rigorosamente controllate dalle autorità affinché nessuno le disturbi durante la deposizione e la schiusa, visitando modernissimi musei e contrattando all’ultimo riyal nei Suq presenti in ogni città l’acquisto di incenso e tessuti.Priva di boschi e pianure fertili, ma ricca di oasi a ridosso dei numerosi fiumi, nati da montagne brulle e alte anche oltre i 3.000 metri, capaci di produrre panorami mozzafiato in particolare nello Jebel Shams, l’Oman non possiede grandi e belle città, ma è costellata in compenso di numerose affascinanti moschee e torri di avvistamento che, soprattutto in epoca coloniale portoghese, ne hanno consentito la difesa da popoli bellicosi in arrivo da terra e da mare. La sua cucina, tipicamente mediorientale, risente di influssi differenti, in particolare indiani ed è molto speziata. Sotto il profilo sociale, pur nella rigorosa differenza delle funzioni tra uomini e donne prevalentemente dedite alla cura domestica e alla prole, la sua popolazione appare docile e laboriosa, aperta ai migranti di ritorno (expat) e soprattutto a dare i lavori più umili a bangladesi e indiani con cui sembra esserci un’autentica integrazione, anche durante il Ramadan che richiede attenzione e rispetto da parte di chi non lo pratica. Noi siamo rimasti affascinati dalla gestione di questo tempo, apparentemente fermo, cadenzato dal richiamo alla preghiera dei Muezzin e dal moto del sole.

Solitamente la propaganda politica non riesce a nascondere le reali condizioni di vita di un popolo. Girando in lungo e in largo per questo paese arabo, ci siamo resi tuttavia conto che ogni casa (anche quella più periferica) è più che dignitosa, che lo Stato funziona nella erogazione dei servizi, che è forte la presenza anche del settore dei servizi finanziari e socioassistenziali, che non ci sono medicanti e che i lavori più umili, sembrano essere svolti da immigrati. Un bene, un male?

Non vorremmo vivere in una terra in cui i poteri sono accentrati nelle mani di un solo uomo selezionato per via familiare, in cui la religione si fa Stato e lo Stato religione ma, per onestà va detto, che in questa terra si respira benessere e dignità da qualunque lato la si guardi. Un’economia che dimostra dinamismo e capacità attrattiva degli investimenti, una redistribuzione funzionale alla coesione sociale, l’assenza di componenti estremiste religiose, sia pur nella rigida osservanza delle tradizioni islamiche e l’inesistenza di evidenti disparità tra masse di lavoratori diseredati e casta irraggiungibile di appartenenti all’apparato statale.

Mentre facevamo queste osservazioni e soprattutto ci chiedevamo per quanti anni ancora possa essere possibile basare la propria ricchezza sulle energie fossili e continuare a lungo a prosperare e redistribuire le ricchezze che si fanno sempre più ridotte, ci è apparso dinanzi un cartellone che rimandava al piano strategico nazionale denominato “Oman Vision 2040”, promosso dal Sultano Qaboos Bin Said e portato in esecuzione, alla morte del predecessore, dall’attuale Sultano Haitham Bin Tarik.

Ci siamo allora letti il piano e la visione, trovando chiari riferimenti a fonti rinnovabili di energia per favorire una rapida transizione energetica, alla cultura quale leva di progresso civile e socioeconomico, a una redistribuzione capace di includere tutte le componenti sociali, a una gestione efficiente per favorire un ecosistema economico dinamico in cui crescano anche l’industria manifatturiera, il turismo e i servizi (sul settore primario c’è poco da fare in una terra arsa dal sole e per lo più petrosa, sebbene abbiano creato desalinizzatori a sostegno della distribuzione idrica nelle campagne). Il tutto monitorato da un ufficio – quello della Visione – che ha il compito di pianificare, disseminare e verificare che gli obiettivi previsti e approvati dai due rami del Parlamento (perché si, qui in Oman c’è il Re assolutista, laureato a Oxford e con un cv di tutto rispetto, ma il popolo viene rappresentato anche in un Parlamento con poteri legislativi, che discute ed esamina i provvedimenti che vengono poi adottati e resi esecutivi dal Governo in cui siedono attualmente anche due donne).

Sappiamo bene che non esiste forma migliore della Repubblica per dare teorico accesso alle cariche elettive a qualunque cittadino e dunque voce al Popolo di una Nazione. Noi siamo dalla parte di Montesquieu, esigiamo la separazione dei poteri in uno Stato di diritto. E l’Oman non fa difetto, sulla carta, nemmeno di queste prerogative: aderisce all’Onu, riconosce la separazione dei poteri, ma prevede nella sua legge penale pene talmente severe e ingiustificabili ai nostri occhi europei, da apparirci contraddittorio. La pena di morte è attiva, come anche i reati di opinione. Tuttavia pensando all’Italia, dove pare sempre più formale il ruolo del Parlamento, chiamato a convertire in legge i decreti del Governo e sostanzialmente privato di sostanza democratica, se non per dare tribuna nei momenti più delicati a qualche leader incapace di creare e fare crescere partiti realmente rappresentativi (si veda la penosa lite in corso tra Renzi e Calenda o la ingloriosa fine di Forza Italia, un partito personale che vacilla a causa della malattia del proprio fondatore) il paragone viene naturale. Qui da noi la politica e il Presidente del Consiglio del momento appaiono sempre più interessati al consenso immediato, incapaci di pensare sul lungo periodo, dandosi obiettivi che traguardino le generazioni e superino le divisioni momentanee.

Non vivremmo in Oman, non sostituiremmo mai la Repubblica faticosamente ottenuta grazie al Referendum del 1946 per lavare il sangue versato in una lacerante guerra civile tra partigiani e nazi-fascisti, all’indomani di un tragico armistizio e del crollo del disastroso fascismo che ci ha portati nella Seconda Guerra Mondiale; tuttavia ci ha sorpresi molto il senso di futuro che abbiamo respirato qui in Oman, di fiducia reciproca, di armonia tra le componenti sociali di un Paese che si dota di strumenti programmatori che ci piacerebbe vedere applicati in Italia, mentre intanto si litiga nel Governo sulle nomine delle società partecipate o si rinnovano licenze balneari tramandate di padre in figlio, in barba a qualsivoglia norma comunitaria e al buon senso che dovrebbe favorire un contesto di pari opportunità di accesso alle risorse comuni.

Non può esistere un paragone tra monarchie assolutiste e repubblica. Ma oggi occorre all’Italia una classe dirigente che sappia fare proprio il pensiero del vecchio saggio che ricorda come il momento migliore per piantare un albero fosse vent’anni fa. I progetti di cambiamento devono essere frutto di una visione lungimirante. Il domani si prepara con una visione chiara, obiettivi raggiungibili, mobilitazione sociale di tutte le risorse disponibili. Riuscirà mai l’Italia a dotarsi di una Visione 2040?

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