Rivoluzionari annoiati

Nel 2005, spinti dall’entusiasmo scaturito dalla prima vittoria di Nichi Vendola alle regionali pugliesi, con un gruppo di amici ci mettemmo in testa di occupare una vecchia scuola nautica di Bari, abbandonata scandalosamente da decenni, per farne un centro culturale polifunzionale. O più banalmente per scacciare la noia estiva, come qui sostiene il grande Marcello Introna, che ne scrisse anni dopo, alterando letterariamente alcuni dettagli.

Alcuni giorni fa l’ADISU Puglia, ha annunciato di voler ristrutturare quel vecchio e bellissimo immobile, proprio nel cuore del popoloso e popolare quartiere Libertà di Bari (quello dove anche io abito), per farne uno studentato universitario.

Mi pare una bellissima opportunità, sebbene tardiva.
Ma va bene così, perché vuol dire che quasi tutti i nostri sogni giovanili sono stati o stanno per esaudirsi.
Tra poco potremo goderci serenamente il frutto dei nostri sogni collettivi di una città migliore.

“Rivoluzionari annoiati”
di Marcello Introna

L’appartamento era al primo piano e la cucina aveva un grande balcone occupato quasi
interamente da bottiglie di Peroni vuote. Nel corso dei mesi le avevano bevute i padroni di casa
che non erano affatto degli alcolizzati, piuttosto lasciavano che tutto si accumulasse vivendo con
sofferenza ogni forma di distacco. Accumulare aveva un effetto rassicurante sui due coinquilini che
erano soprannominati rispettivamente Eluano e l’Iperdenso.
La sera del 16 agosto 1999 avevano quattro ospiti e attorno al tavolo discutevano di come
avrebbero preso possesso dell’ex istituto tecnico, una scuola chiusa da anni con tanto di
lucchettoni agli ingressi.
L’Iperdenso si era procurato un tronchese di un metro e venti da un ferramenta bolscevico e ora si
proponeva di provarlo su un anello della catena della bici di Eluano, d’accordo con gli altri che si
chiamavano Masello, Pelomen, Ferrandagio e Palminogeno. La passione per i soprannomi
coinvolgeva tutti, e i trentacinque gradi medi di quell’estate pugliese glieli appiccicava addosso
ancora di più.
L’anello della catena saltò via: il tronchese si dimostrò della dimensione adatta.
- In città non c’è un cane morto. Aspettiamo le due e andiamo.- Disse Eluano agli altri.
L’ex istituto tecnico era un palazzone dei primi del novecento e la reale intenzione dell’allegra
brigata di amici quella di violarlo e basta: truccavano una noia clamorosa col fondotinta delle
intenzioni politiche, e poi avevano le magliette di Che Guevara a convincerli di essere rivoluzionari
e non scassinatori.
Il piano si articolava in due fasi.
Nella prima si sarebbero recati davanti a una delle uscite laterali della scuola, l’Iperdenso e
Ferrandagio avrebbero tenuto in posizione la morsa del tronchese, a Pelomen spettava
stabilizzarlo, mentre Masello e Palminogeno ne avrebbero azionato i due bracci.
-E io che devo fare?- chiese Eluano deluso.
-Il palo- tagliò corto l’Iperdenso.
-Voi dovete fare i navy seals e io la piccola vedetta lombarda?- Protestò Eluano.
-Ci vuole un minimo di forza. Tu sei la scorciatoia tra la ricotta e il crempurè.-
-Vuoi vedere che non vengo?… vengo.- Si arrese subito lui.
La brigata stabilì che il taglio del lucchetto avrebbe sancito l’inizio della fase due: spalancare il
portone di metallo che dava su un cortiletto, controllare se l’unica finestra fosse aperta e
introdursi nella scuola scavalcando il davanzale.
-E se la finestra è chiusa??- Chiese Masello.
-La chiave ce l’ho io- ghignò Palminogeno mostrando una barattolo di pelati da un chilo.
-Se sfondiamo il vetro farà un casino terribile- aggiunse Eluano.
-Infatti. Controlliamo BENE che l’infisso sia chiuso o aperto. Se dovesse essere chiuso nessuno lanci
nulla!- Fece eco l’Iperdenso.
Tutti concordarono, poi scesero per strada. L’orologio segnava l’una e quaranta e la città in effetti
era deserta. Eluano si era attardato per cambiarsi, lasciandoli in cinque ad attenderlo sul

marciapiede. Si presentò qualche minuto dopo con un paio di zoccoli olandesi muccati comprati in
un autogrill mesi prima, che producevano un trattattattà assordante.
-Sei cretino- disse Pelomen.
-Perché?-
-Non è una domanda. Vatti a cambiare le scarpe- gli ordinò.
Eluano risalì in casa accompagnato dallo trattattattà e quando ridiscese aveva ai piedi le sue
scarpe da calcetto.
-Dobbiamo andare giocare a pallone?- Scoppiò a ridere Ferrandagio nel vederlo.
-Dovete andare a fare in c…- ma non poté concludere la frase perché Masello lo bruciò sul tempo.
-Vanno benissimo. Andiamo, dai.-
Si incamminarono tutti e sei vogliosi di riempire l’horror vacui di cui erano vittime, armati del
tronchese, di un barattolo di pelati da un chilo e un lucchetto nuovo che avrebbero sostituito al
vecchio. Lo avevano previsto, procurandosene uno identico.
Percorso qualche isolato, all’angolo di via della pace, comparve la scuola e gli amici poterono
innescare la fase uno.
Il lucchetto venne via con facilità, il portone di metallo si aprì e il cortiletto con la finestra gli
apparve nella sua interezza. Subito dopo… ci fu un boato e una cascata di vetri rotti.
Poi il barattolo di pelati esplose toccando il pavimento e nel giro di otto secondi i facinorosi si
dileguarono lasciandosi alle spalle il portone di metallo spalancato.
Si ritrovarono sotto casa, con il fiatone e una gran voglia di lapidare Palminogeno.
-Caro, cosa non ti è risultato chiaro in “Nessuno prenda iniziative fino a che non constatiamo se la
finestra è aperta o chiusa”???- furoreggiò l’Iperdenso.
-Scusa- fece spallucce Palminogeno che in realtà aveva sempre sognato di sfondare le finestre con
i barattoli di pelati.
-Abbiamo lasciato il portone aperto!- Si mise le mani in faccia Ferrandagio.
-Dobbiamo tornare per mettere il lucchetto nuovo- aggiunse Masello che ce l’aveva in tasca,
contro il parere di Pelomen che paventava già l’ergastolo per tutti e sei.
Ritornarono sul luogo del delitto.
Nessuno si era accorto di nulla e la città era ancora più muta di quanto non lo fosse un’ora prima.
Masello prese l’iniziativa, varcò la soglia e si diresse alla finestra semi distrutta constatando che
era aperta.
-Era aperta, trimone.- Disse a Palminogeno.
Entrarono tutti tranne Pelomen che rimase fuori a profetizzare arresti imminenti, e la loro
eccitazione scomparve quasi istantaneamente.
Fecero il giro della scuola dove centinaia di banchi e sedie erano sparsi in un disordine polveroso,
mentre le loro torce elettriche illuminavano l’ambiente quasi fossero immagini subacquee di un
relitto, cento metri sotto il mare con alghe danzanti di ragnatele.
Il rumore di qualcuno che correva per le scale li distolse dall’immersione e vennero raggiunti dalla
voce affannata di Pelomen, che apparve subito dopo.
-Nel palazzo di fronte c’è un tale dietro una persiana che ha chiamato i carabinieri.-
Alla parola Carabinieri la brigata non fece domande, ma stavolta Masello non scordò di chiudere il
portone di metallo, né di sostituire il lucchetto.

Ritornati a casa la cucina era inondata da un’alba cremosa ed Eluano chiese a Pelomen se era
certo di quanto avesse affermato. Lui rispose solo “Forse ha chiamato la Polizia, o la finanza”.
-Si vabbè, direttamente l’uomo ragno Pelomen!- lo mandò a quel paese lui, rivolgendosi poi agli
altri.
-L’abbiamo vista la scuola, e mo’?-.
-Lo dobbiamo decidere adesso?- sbadigliò Palminogeno.
-No…, stasera.- aggiunse Masello.
-Oggi è giovedì- ricordò a tutti l’Iperdenso.
-Quindi?- si stranì Ferrandagio.
-Il giovedì si gioca a pallone- sentenziò Pelomen.

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