Il DDL cinema. Una buona legge, ma attenti al rumore di fondo…

Per i suoi automatismi, per il superamento della divisione tra cinema e tv con l’avvento dell’audiovisivo quale campo d’interesse legislativo, per la comprensione delle quattro filiere che lo compongono (produzione, distribuzione, esercizio, promozione e vendita internazionale), il DDL dimostra, ancora una volta, che Franceschini è un Ministro capace, politicamente solido, forte di un Direttore generale come Nicola Borrelli che – d’intesa con Salvo Nastasi che opera presso la Presidenza del Consiglio – ha saputo intelligentemente far tesoro del lavoro di ascolto avviato oltre due anni fa con gli Stati generali dell’audiovisivo.

L’impianto della legge è figlio delle richieste delle categorie e del principio che impone l’audiovisivo al centro della strategia di rilancio culturale del Paese e della sua modernizzazione mediale.

Gli aspetti davvero positivi sono la certezza delle risorse con l’inserimento in Stabilità e la soglia minima dei 400milioni garantiti con il prelievo sugli Over the top, le quote di investimento e di programmazione obbligatorie, i meccanismi antitrust e quelli di finanziamento automatici e non selettivi, il tax credit aumentato e reso coerente con quello dei distributori – sì da limitare il peso di 01 e Rai Cinema divenuti col tempo più Dracula che Peter Pan del cinema italiano –, l’impegno a garantire sostegno e attenzione alle opere prime e seconde e ai nuovi talenti, il riconoscimento sacrosanto e il coordinamento del ruolo delle film commission e delle Regioni quali attori coprotagonisti del finanziamento alle produzioni, il superamento dell’odiosa censura, con la responsabilizzazione degli operatori. Tanti aspetti positivi, dunque, per una riforma di sistema attesa da decenni.

Sei sono, invece, a mio parere i temi rimasti non chiariti: 1) il ruolo dell’essai, quale voce indispensabile per garantire pluralismo e ricchezza estetica; 2) il Centro nazionale dell’audiovisivo pensato dalla Senatrice Di Giorgi come una super film commission o il CNC parigino e che qui – invece – in barba al percorso del Parlamento, vede tutte le deleghe rimanere in capo alla Direzione generale salvo un mero confronto con il Consiglio Superiore che – così com’è – non servirà che a dar lustro a qualche notabile. 3)Il ruolo della formazione ai linguaggi audiovisivi, che andrebbe resa obbligatoria nelle scuole e per i docenti. 4) La mancata attenzione alle industrie tecniche, vera cenerentola di ogni dibattito pubblico. Il cui sviluppo, invece, favorirebbe investimenti nel campo delle tecnologie applicate all’audiovisivo: l’industria si regge anche sulle macchine e sulle infrastrutture web oltre che sui contenuti. 5) I troppi rimandi ai decreti attuativi cui vengono delegate le scelte dirimenti; 6) E poi – infine – lo scenario generale: con questa legge nasceranno molte piccole società, anche di comodo, che genereranno rumore di fondo e poca vera ricchezza. Che rischia, invece, di finire nelle mani degli stranieri grazie a poche, facili e mirate acquisizioni di società italiane di nome, ma straniere per i capitali. Con buona pace dell’industria nazionale dei contenuti che la legge vuol sostenere. Ma questa è l’Europa unita, bellezza!?

Leave a Reply