I compiti per dopo.

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Capire come funzionano i bilanci pubblici è semplice.

Per ogni infermiere, medico, operatore socio-sanitario impegnato in questa dura lotta per la vita e la salute, ci dev’essere un numero di lavoratori, manager e imprenditori che – pagando le tasse – consentano di coprire i costi dei dipendenti e dei servizi pubblici. Una parte del compenso dei lavoratori e dei fornitori privati del settore pubblico, torna allo Stato sempre sotto forma di tasse, sanzioni e accise.

Lo Stato, tuttavia, non si finanzia solo con le tasse. Lo fa anche attraverso l’emissione di titoli di debito pubblico: gli investitori – cioè cittadini, imprese e banche – contraggono un accordo con il quale lo Stato si impegna a restituire dopo qualche anno oltre al capitale investito, una quota di interessi sui quali trattiene una percentuale, sotto forma di tasse.

Il peso del debito pubblico – cioè la somma di tutte queste obbligazioni che lo Stato ha contratto nel corso di svariati decenni – viene scaricato sugli investitori a ogni emissione di nuovi titoli e protratto nel tempo a scapito delle generazioni future.

Ci sono momenti in cui fare debito è indispensabile per consentire di affrontare emergenze economiche o socio-sanitarie, come ad esempio la fase che stiamo vivendo. Quando cioè sia la domanda che l’offerta calano drasticamente, occorre che lo Stato finanzi quei settori che la legge della domanda e dell’offerta, da sola, non riuscirebbe a finanziare.

Così in queste drammatiche settimane, Stato e Regioni corrono ai ripari finanziando la sanità pubblica, dopo che per decenni, in ossequio a un insopportabile dettame liberista che ha imposto come una ideologia le privatizzazioni, abbiamo tagliato posti letto e costi operativi, lasciando i settori ad alto rendimento alla sanità privata convenzionata (cioè sempre pagata dallo Stato) e i settori meno redditizi allo Stato. Come ad esempio le terapie intensive. E che dire della scuola pubblica, definanziata per decenni e oggi alle prese con l’impossibile divario digitale da colmare in pochi giorni?

Nel dibattito pubblico europeo di questi giorni si parla tanto di “Eurobonds”, cioè titoli di Stato emessi dalla UE. Lo strumento è necessario e solidale, ma trovo ci sia qualcosa di patologicamente italiano: il ricorso a un vincolo esterno, cui scaricare le proprie responsabilità.

Prima di chiedere all’Europa di aiutarci, cosa possiamo fare noi per noi stessi?

Ecco un breve elenco di proposte concrete per le nostre classi dirigenti:

  1. Elaborare e comunicare rapidamente una data e un piano per uscire dall’emergenza: quali settori economici potranno ripartire, utilizzando quali protezioni e protocolli, emettendo un decalogo definitivo dei comportamenti da tenere in pubblico, estendendo a campione i tamponi, come fatto in Corea del Sud e in Germania.
  2. A fronte del previsto calo PIL del 15% va iniettato denaro a fondo perduto a ripiano delle perdite delle imprese, non solo tramite presiti garantiti dallo Stato come fatto col Dpcm del 6 aprile, tramite una nuova Iri.
  3. Va creata sotto Cdp una Banca pubblica degli investimenti come proposto da Giuseppe Garofano che sostenga un vero piano industriale del Paese orientato dalle politiche pubbliche, puntando sui settori trainanti del futuro: economia circolare, digitale, farmaceutica e chimica, cura delle persone, ambiente e infrastrutture anche di piccolo taglio. Vi siete chiesti, ad esempio, perché nessuna delle piattaforme digitali che usiamo per comunicare o comprare prodotti e servizi in questi giorni di clausura siano europee o italiane?
  4. Emettere titoli di stato a 30 anni esenti da imposta, obbligando imprese e cittadini con ampi patrimoni ad acquistarli. In alternativa introdurre una patrimoniale sopra il milione di patrimonio.
  5. Combattere definitivamente le cinque piaghe italiane: povertà dovuta al precariato e a scarsa scolarizzazione, burocrazia ignorante, scarsa digitalizzazione delle infrastrutture e dei cittadini, lentezza della giustizia, radicamento delle mafie e del nero.
  6. Investire in sanità, scuola e università con un piano di alfabetizzazione e integrazione di tutte le generazioni nell’economia digitale.
  7. Liberare le energie, con un discorso chiaro alla Nazione, ispirato ai valori europei di democrazia e libertà, ma che indichi una strada per il futuro che ci porti oltre questi plumbei e duri giorni di contrazione, per creare un nuovo e più solidale sviluppo.

La politica torni a essere guida e visione del domani, non solo grigia contabilità dei contagiati.

 

Silvio Maselli

Imprenditore, già assessore alle culture e al turismo del Comune di Bari

 

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