Ed io che pensavo non servisse.

Pensavo non fosse necessario ricorrere allo spazio della riflessione su blog, per spiegare a chi vorrà leggermi, per quale motivo io e i miei colleghi della Giunta Decaro, Sindaco incluso, abbiam deciso di contribuire con la modesta e simbolica cifra di 50 euro ciascuno, alla realizzazione del Pride 2017 a Bari.

Invece le reazioni a un mio post sulla pagina ufficiale di Facebook, mi han fatto cambiare idea. Già, perché alcune sono state univoche: per dei miei concittadini avremmo fatto meglio a donare quei soldi alle “persone normali” oppure ai “poveri”.

Due argomenti formidabili, che se non fossero semplicemente omofobi, sarebbero davvero divertenti. Intanto perché Bari spende milioni di euro per il sostegno al reddito e l’erogazione di servizi per i suoi concittadini più poveri. E una piccola goccia in quell’oceano di risorse non sarebbe stata simbolica, ma oltremodo ridicola. E’ piuttosto il tema sempiterno della “normalità” che mi ha colpito assai.

Ora, io faccio l’Assessore alle culture nella mia città. Dunque i temi dei diritti di cittadinanza mi riguardano da vicino perché la loro diffusione pertiene al lento lavoro culturale e per questo ne desidero parlare. Perché noi diamo sempre troppo per scontate le conquiste di secoli di battaglie. E spesso siamo fermi all’illuminismo francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Riteniamo acquisiti certi princìpi e poi ci risvegliamo, magari subito dopo un’elezione, slittati verso baratri d’ignoranza, immersi nel più bieco razzismo.

E allora focalizziamo il tema: da anni il Comune di Bari ha adottato una pratica di dialogo con la comunità gay, lesbica, bisessuale, transessuale, queer, intersessuale; varando uno sportello sempre aperto, che funge da camera di mediazione tesa a combattere e rimuovere stereotipi e pregiudizi. Ad abbattere muri, insomma. Un esempio perfetto è il corso che numerosi agenti della Polizia Municipale hanno seguito, per superare gli stereotipi di appartenenza sessuale.

L’idea che perseguiamo da anni, a Bari, è dunque di favorire la coesione, dando alle minoranze sociali piena cittadinanza. Perché la democrazia si occupa esattamente di questo: di includere, di consentire a chi è in minoranza di avere eguale accesso alla vita attiva, di partecipare e delegare, sicuro di veder difesa la propria unicità.

Pochi tabù agitano le menti umane come quelli sessuali. Lo spiega bene tutta la psicoanalisi. Per questo motivo occorre che le Istituzioni tutelino chi, per ragioni personali, ritenga di amare una persona del proprio stesso sesso o di affrontare un lungo e tormentato viaggio che porterà a cambiare addirittura identità e caratteri sessuali primari grazie ad ormoni e chirurgia. Al pari di ogni altra minoranza, siano musulmani o scintoisti, apolidi o Rom, migranti o minori non accompagnati; noi abbiamo il dovere costituzionale di tutelare la cittadinanza contro ogni forma di violenza e incomprensione. Dall’articolo 3 all’articolo 22, tutta la nostra carta fondamentale è pregna di valori che rendono inviolabile il corpo della donna, del bambino, di chi per razza, religione o propria sensibilità culturale non appartiene ad una maggioranza. E allora chi è “normale”? Chi, a titolo personale e volontario, in quanto classe dirigente pubblica di Bari ha voluto dare una mano ad una minoranza ad organizzare la propria manifestazione, oppure chi ritiene che il mondo si divida ancora tra i normali e gli anormali? I mille colori del Pride Bari daranno la risposta pacifica e festante. Ma anche un contributo decisivo per far comprendere come non siamo tutti uguali, ma anzi, siamo tutti diversi nel post illuminismo contemporaneo. Per questo il simbolo è proprio l’arcobaleno. Non bianco, non nero, ma tutti i colori. Qualcuno ne avrà a male e proverà a denigrare e fischiare. Altri, magari, nascosti e sofferenti da anni, troveranno la forza di unirsi al corteo, di stringere la mano della persona amata, di infilarsi una parrucca e di dirsi finalmente figli orgogliosi della Repubblica Italiana, che consente a tutti di sentirsi unici. Non normali. Perché, in definitiva, nessuno lo è mai veramente.

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