Piatto piange

Segnalo un’analisi sbeffeggiante e insopportabile sulla crisi del box office italiano.
I numeri, però, fanno impressione.
E devono spingerci alla riflessione…

Si salvi chi può. Cifre alla mano, la stagione cinematografica 2011-2012 che si è appena conclusa ha dimostrato che il grande schermo è, se non defunto, certamente ammalato grave. I dati implacabili pubblicati, come ogni anno, nel numero di agosto della rivista specializzata Ciak, non lasciano spazi a dubbi. Il box office cinematografico italiano ha risentito pesantemente non solo della crisi economica che, indubbiamente, ha scoraggiato il pubblico generalista a recarsi nelle sale ma ha anche registrato una perdita di interesse nello zoccolo duro dei cinefili; il che non è un segnale benaugurante per il futuro della settima arte.Il primo dato che emerge tra quelli raccolti da Cinetel (che analizza circa il 90% dell’intero mercato) è già, di per sé, devastante.

Negli ultimi dodici mesi, le sale italiane hanno registrato una perdita di 16 milioni e mezzo di spettatori rispetto alla stagione precedente (da 103,6 siamo passati a 87,1 milioni di paganti); il che, tradotto in termini di incassi, significa 100 milioni di euro in meno nelle casse.Tutti hanno contribuito alla discesa negli inferi del botteghino ma è certo che la «colpa» più grande sia da attribuire alle produzioni italiane. Sono i dati a sancirlo. Nel 2011-2012 la nostra quota di mercato è scesa dal 37,9% al 30,8% a causa dei quasi 13 milioni di biglietti in meno staccati per i nostri film (da 39,2 siamo scesi a 26,8 milioni di spettatori). Il che ha portato in dote tutta una serie di segni meno. Rispetto alla stagione prima, ad esempio, le pellicole tricolori presenti nella top ten scendono da sette a tre (Benvenuti al Nord, Immaturi 2, Vacanze di Natale a Cortina); per non parlare del fatto che lo scorso anno avevamo piazzato ben quattro film nei primi quattro posti mentre in questo abbiamo salvato solo il primo grazie al sequel del film con Bisio e Siani, trionfatore della stagione (con più di 27 milioni di incasso e oltre 4 milioni di paganti). Il filone nazionalpopolare dei cinepanettoni è certo calato (come spiegare, però, l’exploit de I soliti idioti?) ma mai come il flop registrato dalle cosiddette pellicole d’autore. Come sottolinea perfettamente l’articolo di Franco Montini, la tradizionale quota dei 5/6 milioni di euro, considerata una sorta di standard per i film di qualità, è stata centrata solo da Sorrentino con il suo poetico This Must Be the Place. Minimo sindacale che, invece, ha disatteso gente come Ozpetek, Avati, Amelio, Crialese, Comencini (Cristina) che, pur con titoli più o meno riusciti, ha ottenuto risultati se non modesti almeno sotto alle aspettative (non li ha certo agevolati qualche criticabile scelta di distribuzione). Ed è questo che deve preoccupare maggiormente perché di solito i film d’autore vengono visti dai cinefili non dell’ultima ora, da chi cioè garantisce, durante l’anno, una presenza quasi fissa. Ci sta, insomma, che calino i paganti per i blockbuster (che attirano un pubblico più eterogeneo e generalista) ma se inizia a scendere anche la nicchia allora l’allarme è proprio rosso.Non sta meglio l’America (sceso da 51 a 40 milioni di spettatori) che non ha piazzato un solo titolo sopra i 20 milioni di incasso a dimostrazione che il carrozzone del 3D ha finito di sfornare uova d’oro. A parte The Avengers, infatti, i film che hanno fatto boom negli States da noi non hanno sfondato, a partire dall’atteso Hunger Games finito addirittura 49esimo. Se il rosso non è stato ancora più acceso, in questo marasma, lo si deve all’intervento della «Bce» del grande schermo, ovvero i film inglesi (grazie però a due lungometraggi come il sequel di Sherlock Holmes -finito secondo- e a Hugo Cabret che assomigliano più a blockbuster Usa) e soprattutto quelli francesi (Quasi Amici è sesto) la cui qualità non finiremo mai di elogiare. Una costante, invece, c’è, indipendentemente dalla stagione. I film premiati nei vari festival e quelli decantati e strombazzati da una certa critica vanno cercati, nel listone dei primi cento, con il lanternino. Più se ne parla, meno il pubblico ha voglia di vederli. Sarà un caso?

 

Fonte: Il Giornale

A Venezia

Per la prima volta vantiamo un film in concorso a Venezia. E’ il bellissimo film di Daniele Ciprì, interamente girato da noi, ma ambientato a Palermo. La conferma che il cineturismo è una risorsa, ma per noi è solo una delle risorse. Il resto è sviluppo locale, lavoro buono, investimenti industriali sul territorio.

Ogni scarrafone è bello a mamma sua, dicono i napoletani. Ed effettivamente proprio così mi sento: una mamma che ha allevato tanti figli belli. Due lunghi, un corto e un documentario alla 69^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia da dove, cinque settembre fa partimmo per questo breve e intenso viaggio chiamato Apulia Film Commission sono la consacrazione di un lavoro professionale, serio, appassionato, collettivo.

Ma di tutti questi figli “La nave dolce” rappresenta l’orgoglio più grande. Capirete presto perché.

Bellissima

Segnalo questo articoletto, breve ma intenso, sullo share dell’altro ieri di “The bold and the beautiful” su Canale 5.
Poche righe, ma insegnano tante cose. Ma proprio tante.

“È la neotelevisione che fu, bellezza. Destino di tutte le serie più pop che l’hanno preceduta e modello di tutte quelle più glamour che l’hanno seguita, Beautiful sopravvive anche al lento declino della tv generalista. Ieri la puntata quotidiana della soap più longeva del mondo, con il non sorprendente risultato di 3.367.000 telespettatori per uno share del 21.39%, è stato il programma più visto della giornata. E nelle ultime settimane non è la prima volta che accade. Un successo seriale. Saranno gli intrighi, gli amori e le passioni. Il sesso, il potere e i soldi. Cioè gli eterni ingredienti di tutto ciò che fa audience, su qualsiasi media. Dal 1987 sugli schermi americani, in Italia dal 1990, dalla Rai a Mediaset, per 25 stagioni di culto, per 6.369 puntate complessive, a 20 minuti l’una, che significa 2.123 ore, cioè 89 giorni ininterrotti, mesi di visone non stop. Un incubo. E un sogno. Che ha incantato tutti gli anni Novanta, i Duemila, e vista la media di ascolti attuale, anche i Duemiladieci. 1987-2012: un quarto di secolo e sentirlo tutto, ma essendo bravissimi a fregarsene. Lo scorso anno, di questi tempi, su Beautiful iniziò ad aleggiare il peggior fantasma si possa immaginare per una serie così longeva: la televisione HD. Girata da settembre scorso con le più moderne tecnologie digitali, la soap – grazie alle telecamere in alta definizione che mettono in luce ogni millimetro di pelle – ha cominciato a rivelare rughe, segni e cicatrici da lifting degli attori. I quali, non potendosi opporre al tentativo di svecchiare l’immagine retrò della soap, si sono arresi a mostrare, sotto il trucco, la loro vera età, ormai doppia rispetto a quella della serie: dai 50 in su. Cosa che pure al pubblico più affezionato e più agè non sembra interessare. La regina pomeridiana degli ascolti tv è sempre bellissima. Beautiful.”

Fonte: Il Giornale

Lottizzazione tecnica

Io non faccio il produttore. Ma parlo tutti i santi giorni con i principali produttori italiani e internazionali. I primi sono sempre più esasperati dalla difficoltà di reperire risorse, di trovare un dialogo di natura industriale con il sistema di accesso al credito, di vedere contratte le risorse e resi asfittici i margini di manovra creativa e finanziaria a causa di un mercato dell’audiovisivo che, in Italia, non è mai stato fatto nascere e dove le TV ormai sotto pagano i diritti d’antenna e i nuovi strumenti, come placement e tax credit, sono spesso solamente una bella occasione per parlarne ai convegni.

Non molto di più di un convegno, visto che ormai anche gli investitori esterni alla filiera hanno imparato a farsi garantire dai produttori indipendenti oltre il 60% non coperto dal credito fiscale, andando a erodere i margini sempre più risicati – in un mercato theatrical e home entertainment in forse crisi – di chi la storia l’ha sviluppata o ideata.

In questo quadro fosco, giunge oggi l’indiscrezione secondo la quale nell’ambiguo colloquio avuto a porte chiuse tra il Premier cosiddetto tecnico* e gli esponenti del partito principale della sua maggioranza in cui si è parlato della presidenza Rai, si sarebbe deciso di affidare alla signora Lei tutta la direzione dei contenuti audiovisivi della azienda radio-web-televisiva di Stato. Rai Cinema verrebbe accorpata a Rai Fiction in un’unica divisione di contenuto. Tolto intrattenimento puro e la componente giornalistica, la signora Lei (cioè Vaticano+Berlusconi) deciderebbe cosa gli italiani dovranno vedere nei prossimi anni.

Non ho bisogno di commentare. Penso solo che, nella storia politica – i governi tecnici siano i più tremendi lottizzatori, perché devono pur contare su una maggioranza parlamentare per tirare avanti. E la maggioranza può ricattare bellamente il Governo senza pagare dazio delle proprie nefande scelte, visto che la faccia ce la mettono altri.
L’attuale, inoltre, è il peggior Parlamento della nostra storia unitaria a causa di una legge elettorale infame e di una classe dirigente che non ama la libertà di tutti, ma solo la propria. Libertà da ogni vincolo di decenza.

Fonte: eduesse
“I movimenti della politica sugli assetti della Rai inciderebbero anche su Rai Cinema. Nei giorni in cui si sta insidiando il nuovo Cda di Viale Mazzini presieduto da Anna Maria Tarantola, e nelle consuete trattative tra i partiti su nomine e società controllate, circolano indiscrezioni relative al futuro di Rai Cinema riportate anche dalla stampa. Nel disegnare i nuovi assetti Rai, il Pdl premerebbe per unificare le due società e affidarle all’ex direttore generale Lorenza Lei, che controllerebbe in questo modo tutta l’area contenuti audiovisivi (fiction, produzione cinematografica e acquisto di film per la tv).”

*
Nell’incontro riservato tra Monti e i berlusconidi, secondo le indiscrezioni giornalistiche, si sarebbe decisa la spartizione delle poltrone interne alla Rai in cambio del voto favorevole della destra in Commissione di Vigilanza a favore della Presidente Tarantola e del DG Gubitosi.
Inutile dire che nè Presidente, né Direttore si siano mai occupati di contenuto e industria dell’audiovisivo. Ma questo è il Governo tecnico, bellezza. E un bravo tecnico può occuparsi della qualunque!

Fonte:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06/10/gubitosi-le-utili-amicizie-del-nuovo-direttore-generale-rai/258807/

La gatta sul tetto che scotta

Come il grande classico con Paul Newman e Elizabeth Taylor, così gli italiani sembran non volere rendersi conto di quanti danni la politica abbia prodotto alla Rai. E così la gatta Tarantola rischia di farsi male alle zampine e noi di perdere ancora tempo sulla via della innovazione di prodotto e di produzione di quella che un tempo chiamavamo “la più importante impresa culturale del Paese”.

Fonte: eduesse

Il ministro del Tesoro, Mario Monti, primo azionista Rai, ha comunicato ieri all’assemblea dei soci i primi provvedimenti in vista dell’insediamento del nuovo consiglio di amministrazione. Monti annuncia la riduzione dei compensi dei consiglieri, decurtati del 30% da 98mila a 66mila euro circa, e il taglio di tre milioni l’anno alle spese di gestione. Via le auto blu, assistenti, spese di rappresentanza. Inoltre, l’azionista ha indicato ai consiglieri di affidare al presidente le deleghe per firmare contratti fino a 10mln di euro (su proposta del direttore generale, che ha potere di spesa fino a 2,5mln di euro) e per nominare i direttori non giornalistici di prima e seconda fascia. Il consigliere Pdl Guglielmo Rositani ha già ribattuto che sarà il cda a decidere in autonomia, facendo mettere a verbale che le modifiche proposte da Monti sono “contra legem”. Martedì ci sarà la prima riunione del cda, seguita dal consulto in Vigilanza: per essere eletta presidente, Anna Maria Tarantola dovrà avere il voto di 27 commissari (due terzi) ed è tutt’altro che certo il voto del centrodestra.

 

 

La fine di un’epoca. Ma del futur non v’è certezza.

In un sistema industriale maturo, un luogo di formazione nazionale per i quadri artistici e tecnici del cinema è decisivo. In questo il fascismo, fase odiosa della nostra storia contemporanea, ma pur sempre ricca di innovazioni come tutti i regimi politici obbligati a lasciare il segno; aveva visto giusto, coltivando la propria idea macchiettistica di grandeur e puntando sul cinema come formidabile occasione di visibilità del talento italico.

Poi sono arrivati gli anni bui di Alberoni, un inerme distruttore, secondo molti allievi e “insider” del Centro sperimentale. Oggi il Ministro Ornaghi ha finalmente deciso governance e riforma del Centro. Come sempre tutto dipenderà da chi lo guiderà in futuro. Speriamo lo mettano nelle mani giuste.

 

“Finisce, dopo dieci anni di regno assoluto, l’era Alberoni al Centro sperimentale di cinematografia. E vengono liquidati il direttore generale, i dieci dirigenti della scuola, i quattro componenti del Consiglio d’amministrazione, i tre del Collegio dei revisori dei conti e i sei membri del Comitato scientifico. La notizia era nell’aria, ma solo oggi, con un comunicato che si riferisce al decreto legge “Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati (spending review)”, il ministero ai Beni culturali ha dato il via alla riforma.

In pratica, la Fondazione di diritto privato Centro sperimentale di cinematografia diventerà Istituto centrale del Mibac, sul modello dell’Istituto centrale del restauro, quindi strettamente legato al ministero, con l’idea «di razionalizzare, concentrare e rafforzare le risorse». Il ministro Ornaghi ha temporeggiato, com’è suo costume, ma alla fine ha dovuto prendere una decisione. Per questo bisogna leggere con cura la frase centrale del comunicato, laddove si dice: «La dotazione economica della Scuola – che non verrà diminuita – sarà focalizzata sulla didattica ancor più che nel recente passato.

In questa nuova fase saranno individuati, quali nuovi e unici organi dell’Istituto, un direttore di indiscussa professionalità e autonomia e un Comitato tecnico-scientifico di altissimo profilo, i cui componenti saranno scelti tra personalità di riconosciuta autorevolezza nel settore cinematografico e nella formazione specialistica».

Inutile dire che Francesco Alberoni, il cui mandato scade il 22 luglio, è furibondo. Pensava di poter nominare il nuovo preside del Centro, invece viene praticamente “congelato”. E con lui il direttore generale Marcello Foti. Dai prossimi giorni, in vista degli adempimenti tecnici che porteranno alla nomina del nuovo direttore-presidente, sarà il direttore generale per il cinema presso il Mibac, Nicola Borrelli, a pilotare l’istituzione. Sarebbe bello fare in fretta, ben prima della fine dell’anno; e ci si augura, soprattutto, che non si punti né su un dinosauro del cinema a riposo né su manager-banchiere della Cattolica che nulla c’entra col cinema. 

Che Foti fosse preoccupato riguardo al proprio destino, anche legittimamente, si sapeva. Da settimane tempestava amici cineasti di mail, sms, telefonate, temendo che al ministero dei Beni culturali volessero ripensare la governance dell’augusta e celebrata cine-istituzione situata al numero 1524 della Tuscolana, quasi di fronte a Cinecittà. Il Centro, nato nel 1935 per volere del Duce, riunisce le attività della Scuola nazionale di cinema e della Cineteca nazionale, per un costo annuale, al quale provvede il ministero tramite Fus, di circa 11 milioni e 300 mila euro. Dei quali, però, circa 9 milioni e 800 mila se ne vanno in stipendi: 7 per personale e dirigenti, 2 milioni e 800 mila per insegnanti e collaboratori di spicco.

Foti, la cui retribuzione annua è di 150 mila euro, parlava di «manovre tese a smembrare il Centro», era convinto che «dividere il Csc mettendo la Scuola dentro il ministero ai Beni culturali significa chiudere la più antica scuola di cinema del mondo e vanificare quasi 80 anni di storia e di tradizione». Per questo informò i 155 dipendenti e i 10 dirigenti che il Centro era sotto attacco», vittima di un’operazione volta a dividere, tagliare, scorporare, intaccare il prestigio dell’istituzione onusta di gloria.

Non che a Foti manchino doti e piglio manageriali. C’è chi ricorda, però, che la proliferazioni dei direttori, per l’esattezza otto, il cui stipendio varia tra i 64 mila e i 114 mila euro all’anno, e dei responsabili delle tre sedi regionali (Lombardia, Piemonte, Sicilia), due dei quali sopra i 100 mila, ha fatto schizzare in alto la voce dei compensi.

Con la decisione di ieri i dipendenti non peseranno più sul Fus alla voce cinema ma sul bilancio dello Stato, mentre i dirigenti, salvo ripescaggi anche augurabili, dovranno trovarsi un altro lavoro. Sul modello di quanto realizzato accorpando Cinecittà e Istituto Luce con trasferimento di 54 dei 130 dipendenti al ministero dei Beni culturali, si riduce in sostanza la struttura pletorica del Centro sperimentale di cinematografia, naturalmente senza licenziare nessuno, ma facendo in modo di destinare più fondi alla didattica e alle attività della Cineteca, che ora lavorerà in sinergia con l’archivio di Cinecittà Luce.

Fisicamente resterà tutto nella sede storica, ma agendo, appunto, solo sull’apparato burocratico. E cioè: un presidente, Francesco Alberoni, nominato dal ministro Urbani nel 2002, tra aspre polemiche, al posto di Lino Micciché; un direttore generale, appunto Foti; un cda composto da Pupi Avati, Giancarlo Giannini, Giorgio Tino e Dario Edoardo Viganò; un Collegio dei revisori dei conti con tre membri; un Comitato scientifico con sei esperti, tra cui Renzo Martinelli, regista molto caro alla Lega; otto direttori, di cui uno è Foti, con delega alla Cineteca; tre responsabili di sedi. In effetti troppe persone al timone. Essendo una Scuola d’eccellenza, si può capire il contenuto numero di studenti su scala triennale, circa 250 per le quattro sedi, ma ha senso un rapporto tra allievi e dipendenti così squilibrato?

Andrea Purgatori l’anno scorso ha pilotato un corso di sceneggiatura, durato tre mesi, per il quale ha percepito 3 mila euro lordi. In media il compenso annuo degli insegnanti, tra i quali Daniele Luchetti, Piero Tosi, Roberto Perpignani, Giuseppe Rotunno, si aggira sui 34 mila euro. «Non c’era neanche il toner per le fotocopie, ho dovuto farle fare fuori» rivelò qualche mese fa al “Riformista”. E aggiunse: «Il Centro ha una grande storia alle spalle che tutti riconosciamo, ma credo che nulla sia intoccabile. Se ci sono sprechi da sanare, posizioni personali da ridimensionare, strutture da asciugare, allora si intervenga. Se possibile coinvolgendo anche chi fa cinema in Italia, perché la riforma del Csc, che si smembri o meno, non sia una roba calata dall’alto, senza alcuna discussione».

In effetti il comunicato di ieri sottolinea che «il direttore e il Comitato verranno nominati acquisendo anche il parere delle associazioni di settore». Altra notizia: viene finalmente messa in liquidazione la società Arcus Spa, che fu tanta cara a Urbani e ai suoi successori di centrodestra.”

Fonte:

Dagospia

 

Cambiamenti

ROMA – 6 LUGLIO 2012 – (fonte, ufficio stampa MiBac) Nell’ambito del decreto legge “disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati (spending review)”, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri, sono state introdotte le seguenti disposizioni di interesse del Ministero per i Beni e le Attività Culturali:

la liquidazione della società Arcus s.p.a: è stata prevista la nomina di un commissario liquidatore con il compito di portare a conclusione le numerose attività in corso di svolgimento della società. La liquidazione avverrà improrogabilmente entro il 31 dicembre 2013. Già a partire da quest’anno, l’assegnazione delle risorse a favore di progetti di conservazione, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale che spettavano alla società liquidata avverrà direttamente tramite il MiBAC che, di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasposti, individuerà i criteri e gli indirizzi esclusivamente per la realizzazione di nuove e mirate iniziative di assoluta rilevanza nazionale e internazionale;

la trasformazione della Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia in Istituto Centrale del MiBAC: il provvedimento ha il fine di razionalizzare, concentrare e rafforzare le risorse a sostegno delle funzioni della Scuola a favore dei giovani che hanno intrapreso un percorso formativo nelle professioni cinematografiche. La dotazione economica della Scuola – che non verrà diminuita – sarà quindi focalizzata sulla didattica ancor più che nel recente passato. In questa nuova fase della storia di questo prestigioso ente, saranno individuati, quali nuovi e unici organi dell’Istituto, un direttore di indiscussa professionalità e autonomia e un comitato tecnico-scientifico di altissimo profilo, i cui componenti saranno scelti tra personalità di riconosciuta autorevolezza nel settore cinematografico e nella formazione specialistica. Il direttore e il comitato verranno nominati acquisendo anche il parere delle associazioni di settore. Il nuovo Istituto erediterà dalla Fondazione tutte le attività della Scuola, mentre la Cineteca Nazionale sarà d’ora in poi valorizzata in stretta sinergia con l’archivio dell’Istituto Luce Cinecittà, anche affinché entrambi siano pienamente integrati nei percorsi formativi, didattici e di promozione culturale della Scuola stessa.

 

Per farmi gli auguri

Per farmi gli auguri di compleanno una ragazza che ho conosciuto in occasione di una rassegna realizzata in uno dei nostri Cineporti di Puglia mi ha inviato questa nota su facebook. Vittoria, perdonami, ma è troppo bella e devo pubblicarla, è il più bel regalo per me!

Grazie a te e tutti voi che, come me, ci credete.

“Ciao Silvio. Facebook mi dice che oggi è il tuo compleanno: auguri; e colgo l’occasione per ringraziarti per tutto quello che stai facendo per una Puglia migliore, più colta e soprattutto interessata. Sono parte di quei 5 ragazzi organizzatori della rassegna “F**k Off” presso il Cineporto. E’ stata quella la prima volta in cui sono entrata in contatto con l’Apulia Film Commission, quell’organo così straordinariamente funzionante in questo mondo un po’ malaticcio. Il riguardo che avete per le idee dei giovani dovrebbe essere invidiato da miriadi di organizzazioni che si propongono di fare ciò in cui voi riuscite benissimo. Questo è solo un piccolo feedback: spero che tante altre persone abbiano condiviso, condividono e condivideranno la mia linea di pensiero. Buona giornata, e ancora auguri!”

Follie amministrative

Una nostra fondamentale collaboratrice mi ha raccontato di aver sognato di sequestrare tutti i propri condomini chiedendo loro come riscatto la consegna del DURC.
Ecco un sogno che dice molte cose.
Larga parte del nostro tempo lavorativo viene assorbito dalla scrupolosa necessità di seguire le leggi e le procedure.
Non ci lamentiamo, è la legge, appunto.
Ma poi succede che così perdi di vista le cose belle del nostro mestiere e ti rimane solo l’incubo del DURC.
Un po’ quello che sta succedendo ai tanti imprenditori italiani, taglieggiati da una burocrazia asfissiante e folle che, per colpire i farabutti, se la prende pure con gli onesti.

Succede

Se per oltre tre anni ti svegli la mattina alle cinque, saluti tuo figlio piccolo e tuo marito, prendi la macchina e raggiungi la stazione di Lecce, prendi il treno e arrivi a Bari, attendi l’autobus e dopo tre ore dalla partenza da casa arrivi all’ingresso della Fiera di Bari. Se arrivata lì, che faccia caldissimo o freddissimo poco importa, perché ti tocca fare a piedi ancora un mezzo chilometro per arrivare in ufficio.

Se per oltre tre anni fai questo per l’Apulia Film Commission, vuol dire che hai trovato quel che cercavi e che il tuo datore di lavoro ha trovato una donna su cui investire.

E’ successo che passione e competenza hanno trovato una fusione rara.

Ma succede che questo ritmo ti logora, che tuo figlio non ti riconosca più, che alla prima buona occasione rimetti in gioco le priorità e la vita prende un altro giro.

Venerdì scorso è stato l’ultimo giorno di lavoro, per noi, di una di noi.

Lei sa quanto bene le vogliamo. E sa che, volere bene, significa volere il bene di una persona.

Il tuo bene, Francesca, è quello che hai scelto. Non versare lacrime e pensaci sempre alle prese con CUP, CIG, procedure, determine, film, interrogazioni consiliari, lettere agli avvocati, fotografi esigenti, photoscouting, arrabbiature, i location scouting del baso, le sceneggiate, Vavu&Max, graduatorie, abbracci, sceneggiature, registi, attori, questuanti, pazzi, consigli di amministrazione, distretti, i centri di costo, i centri studio, le corrette imputazioni, d’autore, l’audit!, isterismi relativi, i pagamenti da fare di corsa, le firme da prendere al Rup, radiocinemaroma, lo staff brief del lunedì, le trasferte, chi va a Venezia?, forse, closing the gap, e che gap…, frontiere, le brutte telefonate, Paola&Chiara, Robi&Costa, la tua Cri, il nostro cuore grande al servizio di un’idea alta che abbiamo chiamato Puglia Migliore. Ovunque saremo, a questo penseremo. Non è forse vero?