Migrazioni in Italia e in Europa. Numeri e ragionamenti.

Martedì 2 ottobre 2018, l’Organizzazione non governativa “Medici Senza Frontiere” (MSF) aveva indetto un convegno a Bari, per discutere della criminalizzazione del soccorso in mare e dei temi connessi alla gestione dei flussi migratori in Europa. Eravamo invitati, tra gli altri, io e il candidato a Sindaco di Bari per la Lega di Salvini, l’Avv. Fabio Romito.

Per prepararmi, avevo preso qualche appunto, scaricato e analizzato alcuni dati e messo in fila le leggi che regolamentano la materia.

Poi MSF ha deciso di annullare l’incontro, forse in seguito al brutto clima di repressione che si respira in città e dopo l’aggressione da parte di militanti di Casapound ad alcuni inermi cittadini e manifestanti autorizzati.

Mentre scrivo queste note sul mio blog, infatti e per esempio, una nutrita schiera di agenti di Polizia, presidia proprio a due passi da casa mia nel quartiere Libertà, il circolo di alcuni discutibili organizzatori dell’incontro con Salvini avvenuto a Bari dieci giorni addietro, per chissà quale manifestazione contro i migranti che avranno indetto.

E allora proviamo a mettere luce sul fenomeno. Perché davvero non se ne può più di retorica, false notizie e caccia ai più deboli.
Ecco le mie note.
Buona lettura.

 

Migrazione in Italia e in Europa.

  

“È duro essere negri.

A me è capitato di esserlo, una volta.

Quand’ero povero.”

 

Larry Holmes – peso massimo USA

 

Art. 10.

L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

La condizione giuridica dello straniero é regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non é ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

Art. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

 

 

C’è schizofrenia nel dibattito, alimentato da media assetati di scoop e incapaci di favorire un dibattito sereno per formare una opinione pubblica consapevole e cosciente della complessità dei problemi.

Una politica altalenante tra incomprensione del fenomeno e reazioni emotive costruite ad arte per ottenere facili consensi.

La questione migrazioni è tanto centrale nel dibattito e dunque nella percezione pubblica, quanto marginale nell’impianto demografico reale dei paesi europei e dell’Italia in particolare.

E allora vediamo qualche definizione.

Differenza di status: a seconda di come scegliamo le parole compiamo un’azione politica.

- migrante è la persona in transito, categoria generica;

- immigrato è il migrante che raggiunge la sua destinazione e vi si stabilisce con la residenza;

- emigrato è l’immigrato visto dalla società di partenza;

- migrante irregolare (rifugiato, profugo) è colui che parte senza un documento;

- migrante economico è colui che si reca in un altro paese per trovare o accettare un lavoro;

- extracomunitario è valido solo per l’Europa;

- rifugiato è colui al quale è stato riconosciuto tale status di persona costretta a lasciare il proprio paese a causa di persecuzioni, motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o per le sue opinioni politiche e che per tali motivi non può far ritorno nel proprio paese (art. 1 convenzione di Ginevra del 1951);

- richiedente asilo è chi ha presentato una domanda di asilo per ottenere lo stato di rifugiato;

- profugo è chi lascia il proprio paese a causa di guerre, persecuzioni, carestie o cause naturali (i siriani, ad esempio…);

- sfollato è chi è stato costretto ad abbandonare la propria abitazione per gravi motivi esterni (internally displaced person).

 

Ma sono tutte PERSONE!

Un po’ di demografia.

Con 60.483.973 abitanti al 31 dicembre 2017, l’Italia è il quarto paese dell’Unione europea per popolazione (dopo Germania, Francia e Regno Unito) ed il 23º al mondo. Il Paese ha, inoltre, una densità demografica di 200,71 abitanti per chilometro quadrato, più alta della media europea.

All’indomani dell’Unità, la popolazione italiana ammontava a poco più di 28 milioni. La crescita della popolazione fu abbastanza lenta negli ultimi decenni dell’Ottocento anche a causa dell’elevato numero di persone che emigravano all’estero.

Nel Novecento, fino agli anni settanta l’aumento demografico fu invece più sostenuto e, a differenza della Francia, le perdite umane delle due Guerre mondiali non incisero molto. La popolazione italiana, tuttavia, è rimasta sostanzialmente invariata tra il 1981 e il 2001, per poi riprendere ad aumentare nel primo decennio del III millennio, soprattutto per via dell’immigrazione.

Secondo le ultime rilevazioni dell’ISTAT al 1º gennaio 2017 i giovani fino a 14 anni di età sono quasi 100.000 in meno rispetto al 2016 e rappresentano il 13,5% del totale. Le persone con oltre 65 anni d’età risultano in aumento di 160.000 unità e ormai rappresentano il 22.6% della popolazione.

Anche i cittadini stranieri sono in costante aumento e costituiscono, al 1º gennaio 2018, l’8,5% del totale.

Sotto il profilo demografico l’Italia si conferma uno dei paesi con il più basso tasso di natalità al mondo; nel 2016 il numero medio di nascite per donna è stimato a 1,34, in calo rispetto all’1,46 del 2010, che rappresentava il valore più alto dal 1984. La fecondità, dopo un periodo di recupero, ha ricominciato a diminuire. Si mantiene superiore a quella della metà degli anni 90 in cui si toccarono i minimi storici, ma ancora non ha raggiunto il livello considerato ottimale per una popolazione, ovvero il livello di sostituzione delle coppie, pari a circa 2,1 figli per donna. La popolazione è molto concentrata in alcune specifiche aree, al 2015 solo 741 comuni italiani superano i 15 000 abitanti e contano complessivamente 36 000 000 di abitanti, i restanti 7 299 sono quindi considerati “piccoli comuni”.

Al nord Italia abitano 27.736.158 persone, al centro 12.050.054, al Sud solo 10.697.761.

Ecco perché sono ancora più indispensabili gli stranieri.

E il legislatore italiano come ha gestito la materia?

La prima legge organica in materia è la 39/1990, la Legge Martelli che definisce lo status di rifugiato e il diritto di asilo politico a esso collegato. E introduce il principio della gestione dell’immigrazione da un punto di vista economico, perché per la prima volta entrano nella legislazione le quote di flussi di ingresso degli stranieri non comunitari in base alle necessità produttive e occupazionali del Paese.

E poi introduce pene detentive e pecuniarie con il concorso a delinquere per i clandestini e chi li favorisce; oltre al potere di espulsione posto in capo ai Prefetti con motivato decreto. Se entro 15 giorni il migrante non abbandona il Paese, in caso di recidiva si introduce l’espulsione.

Entriamo così a conoscenza dell’istituto del “permesso di soggiorno” che va da 3 mesi a massimo 2 anni e viene concesso dalle questure.

Ma il fenomeno continua e incalza. Il Parlamento allora legifera di nuovo e con la legge 40/1998 (poi finalmente nel T.U. sulla immigrazione DL 286/1998), la Turco-Napolitano si fa strada una normativa più organica che disciplina in modo innovativo l’iingresso per lavoro e la concessione di diritti di cittadinanza temporanea ai migranti non comunitari.

I principi ispiratori e operativi vengono fortemente incrementati dalla legge 189/2002 la Bossi – Fini: si rende più difficoltoso entrare e il soggiorno regolare dello straniero, si agevola l’allontanamento e si riforma in senso restrittivo l’asilo politico.

Ogni anno il Governo deve fissare con un decreto le quote di immigrazione legale e tali quote sono minori per i Paesi che non collaborano nei rimpatri.

Si introduce così il principio di diseguaglianza tra stranieri e si favorisce enormemente il flusso irregolare proprio da quei paesi!

Inoltre il visto per entrare in Italia viene rilasciato dall’Ambasciata o dal consolato italiano all’estero che può rifiutarlo, senza possibilità di opporre ricorso. Una eccezione alla regola generale della PA che determina una ulteriore diseguaglianza.

Per la Bossi-Fini il migrante non può ottenere il permesso di soggiorno se condannato penalmente anche se con pena patteggiata e scontata o se non si sottopone a rilievi fotodattiloscopici, procedura solitamente riservata ai delinquenti colti in flagranza di reato.

Ma la cosa più aberrante è la procedura di ingresso dei lavoratori subordinati non stagionali per i quali si prevede il meccanismo della chiamata nominativa. Il rilascio del permesso di soggiorno è subordinato all’ottenimento di un contratto di soggiorno, con il quale il datore di lavoro italiano si impegna a garantire al lavoratore straniero un alloggio e il pagamento del viaggio di ritorno nel Paese di provenienza. E’ una mistificazione che produce altro lavoro nero, precario, sfruttato e soprattuto altra clandestinità.

L’articolo 23 della Bossi-Fini cancella la precedente misura della Turco-Napolitano che prevedeva l’assunzione di personale straniero non comunitario tramite l’iscrizione alle liste di collocamento per stranieri. E per quanto riguarda i tempi, questi sono passati da 5 a 6 anni di lavoro per avere un permesso definitivo.

In materia di immigrazione clandestina però, la Bossi-Fini dà il meglio di se’.

La Turco-Napolitano introduceva 3 tipologie: due per motivi giudiziari, una per motivi amministrativi per motivi di ordine pubblico o di sicurezza. Se entro 15 giorni dal decreto di espulsione il migrante irregolare non avesse abbandonato il Paese, in caso di recidiva, sarebbe stato accompagnato alla frontiera con mezzi di PS. Ove non disponibili i mezzi o per accettamrnti, sarebbe stato accompagnato in un CPTA (Centro di permanenza temporanea e assistenza). La logica era di gestire le procedure di rimpatrio in chiave amministrativa.

I CPT dovevano essere marginali rispetto alla gestione del fenomeno.

Le destre invece prevedono che l’espulsione coatta sia il principale meccanismo di gestione, mentre marginale diviene l’intimazione. Così i CPT diventano centri di pura detenzione dai quali tutti i “clandestini” sono tenuti a passare, indipendentemente dal fatto che abbiano commesso un illecito amministrativo quale la violazione dell’obbligo di abbandonare il paese entro 15 giorni dal motivato decreto del Prefetto.

E il divieto di rientro passa da 5 a 10 anni!

Viene ampliato il limite delle acque territoriali per l’ambito operativo delle forze di polizia e controllo, in pieno contrasto con l’art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 per il quale “ogni uomo è libero di lasciare il proprio paese”: lo straniero che si trova in acque internazionali potrebbe in teoria non voler entrare in Italia, eppure è sottoposto oggi a controlli di polizia italiana che violano il suo diritto a emigrare.

Poi i paradossi come “l’applicabilità in quanto compatibili delle norme relative al controllo del traffico via mare anche a quello aereo” ma risulta davvero complicato che l’aereonautica italiana possa individuare una “carretta dei cieli” e “fermarla, sottoporla a ispezione e, se rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla conducendo la stessa in un porto dello Stato” (Sic!).

Ricongiungimento familiare (circa il 90% del totale dei flussi), programmazione di attività di integrazione dello straniero vedono dedicati solo 5 articoli su 38 della legge.

Nel 2007 il disegno di legge Amato – Ferrero teso a mitigare gli impatti della famigerata Bossi – Fini non viene approvata a causa della debolezza politica di quel governo.

Poi il nuovo governo di destra, con Maroni agli interni, peggiora ancora di più la materia con il “pacchetto sicurezza” e la Legge 94/2009: viene limitato il ricongiungimento familiare, colpito il favoreggiamento anche dei datori di lavoro, espulsi i cittadini UE condannati a pene superiori ai 2 anni e altre follie liberticide.

L’immigrazione clandestina diventa reato con l’art. 21 del T.U. con l’espulsione immediata e multe da 5 a 10 mila euro, e obbligo dei pubblici ufficiali di denunciare i clandestini. Chi arriva in Italia illegalmente e viene scoperto, viene rinchiuso nei CIE (Centri di identificazione ed espulsione) sino a 180 giorni. Nuovi paletti economici che rendono pressochè impossibile ottenere i permessi di soggiorno, a meno di non rubare o essere ricchi ereditieri.

Con la legge 46/2017 si introducono procedure più snelle per il riconoscimento della protezione internazionale (asilo politico) e dell’espulsione degli irregolari basati sui colloqui con le commissioni territoriali, validate da 26 corti specializzate e viene prevista una distinta disciplina per i minori non accompagnati.

Fuori da ogni legge rimane il tema della cittadinanza e dello IUS SOLI.

Quanti sono?

Gli stranieri regolari residenti in Italia, sono 5.047.028 pari all’8,3% della popolazione. Nel 1990 erano lo 0,8%, per questo il fenomeno è rilevante.

Di questi sono donne il 52,4%.

1,5 milioni sono comunitari; 3,5 milioni extra comunitari pari al 5,8% della popolazione.

Sono poi circa 400.000 gli stranieri regolari, ma non residenti in Italia. Hanno un permesso di soggiorno, ma non sono iscritti all’anagrafe di nessun comune italiano.

Compresi anche i rifugiati, gli stranieri regolari presenti in Italia sono dunque circa 5,4 milioni.

A questi vanno aggiunte tre categorie di persone: i circa 200.000 richiedenti asilo – per i quali occorrono circa 2 anni di valutazione (2 anni!!!) – che sono accolti negli Sprar di accoglienza diffusa e nei centri di accoglienza delle famose cooperative (rosse!); circa 491.000 immigrati irregolari pari a meno del 10% di tutti gli stranieri presenti in Italia per un totale generale di circa 6 milioni di stranieri in Italia.

L’Italia è un Paese di transito secondo l’Istat di cui citerò tutti i dati qui riportati (insieme a quelli del Rapporto annuale sulle migrazioni della Fondazione ISMU): dei migranti giunti in Italia nel 2012, solo il 53% è ancora presente oggi.

In gran parte dei paesi europei e in Italia più di 90 persone su 100 sono cittadine del paese in cui abitano.

Cresce moltissimo (34%) nel 2017 il numero di ingressi per motivi familiari (ricongiungimenti e stabilizzazioni di persone entrate anni fa per lavoro), solo 13mila per motivi di lavoro, minimo storico nel 2017 e segnale gravissimo: i giovani italiani emigrano, l’Italia non attrae più cervelli, ma solo manodopera a basso costo.

La metà di tutti gli stranieri in Italia sono europei (comunitari e non comunitari): 2,5 milioni.

1,1 milioni sono gli africani (700.000 nordafricani, 400.000 sub sahariani).

1 milioni gli asiatici; 400.000 gli americani prevalentemente centro-sud americani.

 

Etnie più presenti in Italia:

Romania, 1.170.000

Albania, 448.400

Marocco, 420.600

Cina, 281.900

Ucraina, 234.300

Filippine, 166.450

India, 151.430

Moldova, 135.600

Bangladesh, 122.420

Egitto, 112.765

Le regioni con la maggiore concentrazione di migranti sono Emilia-Romagna (12%), Lombardia (11,4%), Lazio (11,2%), Umbria (10,9%), Toscana (10,7%).

 

E gli altri paesi europei?

Grosso modo, tranne la Francia che riconosce lo ius soli, i numeri sono simili ai nostri:

Austria, 1.250.000 (incidenza sulla popolazione 14,3%)

Irlanda, 586.800 (12,4%)

Belgio, 1.328.000 (11,7%)

Germania, 8.652.000 (10,5%)

Spagna, 4.419.000 (9,5%)

Regno Unito, 5.641.000 (8,6%)

Italia, 5.027.000 (8,3%)

Danimarca, 463.088 (8,1%)

Svezia, 773.000 (7,8%)

Grecia, 798.360 (7,4%)

In Europa oggi ci sono 5,2 milioni di rifugiati. I paesi più coinvolti sono Turchia (circa 3 milioni) e Germania.

Il numero di rifugiati sul totale della popolazione è in generale molto basso: la Svezia ha il rapporto rifugiati/abitanti più alto con il 2,3%. Malta il 1,8%: 18,3 rifugiati ogni 1000 abitanti.

In Italia il rapporto è 0,2: 2 rifugiati ogni 1.000 abitanti!

Sulla spinta delle opinioni pubbliche e della politica dei singoli stati membri, a livello comunitario la tutela dei diritti umani dei rifugiati è sempre più subordinata alla riaffermazione dei confini nazionali.

Mentre le richieste di asilo (71,4 milioni nel mondo nel 2017) e gli sbarchi in Europa (172.000 nel 2017) sono molto diminuiti, la percezione pubblica di insicurezza e smarrimento è assurdamente aumentata.

La criminalizzazione delle Ong, la esternalizzazione delle frontiere hanno costretto Bruxelles ad affrontare la differenza tra i numeri effettivi e la risonanza simbolica della presunta emergenza.

Il piano Junker, presidente della Commissione europea era di redistribuire i richiedenti asilo tra i vari stati membri dell’Unione secondo quote obbligatorie è stato respinto.

L’accordo tra Premier, allora, attualmente in vigore a livello Ue, prevede accordi con paesi esterni per creare strutture di accoglienza e valutazione (hot spot) coinvolgendo l’Onu per mitigare le accuse circa la mancata tutela dei diritti; realizzazione negli stati membri di centri chiusi e controllati per trattenere i richiedenti asilo, identificarli e valutare “rapidamente” le loro istanze con il sostegno finanziario della Ue; inasprimento della territorializzazione dell’accoglienza, impedendo ai richiedenti asilo in attesa di permesso di muoversi attraversando le frontiere comunitarie; 6.000 euro di incentivo per ogni richiedente asilo e rifugiato accolto da paesi diversi da quelli di arrivo.

Da notare che Salvini ha detto “non accettiamo elemosine dalla Ue”, dimostrando di non aver letto il documento e di usare l’argomento migranti per esclusivi scopi elettorali di propaganda.

Secondo Maurizio Ambrosini (su LaVoce.info, 27.07.2018) tre sono i difetti della proposta UE: non prevedere corridoi umanitari su mari e coste ostili; l’approccio unicamente repressivo nei confronti dei migranti economici (in Italia ad esempio i Tribunali rovesciano circa il 50% dei decreti delle commissioni ministeriali in materia) per il quale urge tornare al meccanismo della sponsorizzazione della Turco-Napolitano; lasciare ai singoli stati membri la disciplina dei diritti umani significa far vincere Orbàn e il gruppo di Visegrad significa disegnare un profilo scadentissimo della EU e delle 4 libertà fondamentali su cui si regge.

Quelli sono nostri nemici. Hanno in testa un’altra idea di Europa!

 

E a Bari, quanti sono?

Secondo il 26esimo rapporto immigrazione, Bari ha accolto, nel 2017, 43.000 immigrati cosiddetti «regolari», a cui si aggiunge poi una quota di immigrati «irregolari», non conteggiati nel rapporto. Bari è la città pugliese più internazionale: in tutta la regione si contano 134 mila unità, pari a circa il 3,5% della popolazione.

I cittadini rumeni, il 27% del totale, sono la comunità più rappresentativa a Bari e in Puglia e superano di gran lunga i cittadini albanesi, che si fermano a quota 18%. Seguono le comunità marocchina, cinese e georgiana.

Così come nel resto d’Italia, i cittadini stranieri lavorano per lo più nei servizi e in agricoltura anche se un numero significativo di persone, poco più di 12 mila, risulta titolare di un’impresa.

Il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR)

A partire dalle esperienze di accoglienza decentrata e in rete, realizzate tra il 1999 e il 2000 da associazioni e organizzazioni non governative, nel 2001 il Ministero dell’Interno Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) siglarono un protocollo d’intesa per la realizzazione di un “Programma nazionale asilo”. Nasceva, così, il primo sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell’Interno ed enti locali.

La legge n.189/2002 ha successivamente istituzionalizzato queste misure di accoglienza organizzata, prevedendo la costituzione del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Attraverso la stessa legge il Ministero dell’Interno ha istituito la struttura di coordinamento del sistema – il Servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali – affidandone ad ANCI la gestione.

ll Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. A livello territoriale gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.

Il presupposto giuridico su cui si fonda lo Sprar è tanto chiaro quanto aderente al nostro impianto costituzionale: nella gestione degli arrivi e dell’accoglienza dei migranti allo Stato spettano gli aspetti che richiedono una gestione unitaria (salvataggio, arrivi e prima accoglienza, piano di distribuzione, definizione di standard uniformi), ma una volta che il migrante ha formalizzato la sua domanda di asilo la gestione effettiva dei servizi di accoglienza, protezione sociale, orientamento legale e integrazione non spetta più allo Stato, che non ha le competenze e l’articolazione amministrativa per farlo in modo adeguato, ma va assicurata (con finanziamenti statali) dalle amministrazioni locali, alle quali spettano in generale tutte le funzioni amministrative in materia di servizi socio-assistenziali nei confronti tanto della popolazione italiana che di quella straniera.

Ora il Governo Salvini/Di Maio (che in data 21.09.2018 ha dichiarato “Bene che non ci siano più ONG nel Mediterraneo”) intende superare questo modello:

Permessi umanitari cancellati, stretta su rifugiati e nuove cittadinanze, vie accelerate per costruire nuovi centri per i rimpatri, possibilità di chiudere negli hotspot per 30 giorni anche i richiedenti asilo, trattenimento massimo nei centri prolungato da 90 a 180 giorni. E poi addio alla rete Sprar.

Quale la percezione?

Secondo i dati dell’indagine Ue.Coop/Ixè, 8 italiani su 10 (79%) chiedono di far lavorare gratuitamente in attività di pubblica utilità gli immigrati in cambio dell’accoglienza, anche se per un periodo limitato. Il fattore determinate nello scatenare l’ostilità degli italiani nei confronti degli immigrati è proprio il fatto di essere assistiti senza lavorare che – sottolinea Ue.Coop -  infastidisce ben il 30% dei cittadini prima della paura per la delinquenza (29%), mentre non si riscontrano discriminazioni razziali con solo il 4% che dice di essere preoccupato perché sono diversi e ben il 26% che non si ritiene per nulla disturbato dalla loro presenza. Il lavoro è la leva principale dell’integrazione con molteplici attività di pubblica utilità ritenute necessarie per compensare l’aiuto ricevuto con il vitto e alloggio nell’accoglienza. Nell’ordine, a giudizio degli italiani, potrebbe essere utile impiegare il lavoro degli immigrati accolti nella cura del verde pubblico (57%), la pulizia delle strade (54%), l’agricoltura (36%), la tutela del patrimonio pubblico (30%), la cura degli anziani (23%), secondo l’indagine Ue.Coop/Ixe’. Analogamente, due terzi dei cittadini vedono con favore l’ipotesi di tirocini gratuiti, predefiniti nel tempo, in aziende private nell’ottica di ‘imparare un mestiere’. Più di 1 italiano su 2 sarebbe inoltre favorevole a coinvolgere gli immigrati nel recupero dei piccoli borghi abbandonati e per combattere lo spopolamento dei territori.

 

E come la mettiamo con i reati?

In Italia al 31.12.2017 (fonte AGI) erano detenute 57.608 persone di cui 19.745 tra imputati e condannati stranieri pari al 34%:

di cui

3.700 marocchini, 18,8%

2.598 albanesi, 13,2%

2.588 rumeni, 13,1%

2.122 tunisini, 10,7%

nessuna di tali etnie è tra le più presenti negli sbarchi degli ultimi 3 anni cioè eritrei, nigeriani, somali.

Quindi non è vero che le recenti forti immigrazioni abbiano cagionato più reati.

Inoltre i condannati stranieri hanno una maggiore difficoltà ad accedere alle misure alternative al carcere, proprio a causa della Bossi-Fini e perché non hanno spesso una casa e un lavoro ovvero un avvocato diverso da quello d’ufficio.

Solo il 14% degli affidamenti in prova, infatti, è concesso ai detenuti stranieri.

La gran parte degli stranieri detenuti in Italia, è in tale condizione perché ha mentito a un pubblico ufficiale sul proprio status ed è rinchiuso per reati a pene lievi (rapine e furti in abitazione). I detenuti italiani, in media, ottengono pene molto più severe.

Il 90% dei detenuti stranieri in carceri italiane è un “irregolare” (Fonte Fondazione De Benedetti), quindi più facilmente portato a frequentare ambienti criminali per procurarsi da vivere (e i 200 euro necessari ad avviare la pratica di permesso di soggiorno).

Secondo un citatissimo studio del Centro studi e ricerche Idos il tasso di criminalità per gli stranieri regolari nella fascia di età 18-44 anni è dell’1,9% vicino all’1,5% degli italiani di pari cluster. Per la fascia 45-64 anni è invece inferiore agli italiani (0,65%) e pari al 0,44%.

Il problema è che i migranti regolari ammessi in Italia sono inferiori agli irregolari!

Di tutti i reati denunciati/arrestati tra metà 2016 e metà 2017 (i dati citati a febbraio nel Parlamento europeo da Salvini) per furto il 40,8% è commesso da stranieri.

Il 55% per i furti con destrezza.

Il 51,7% per sfruttamento della prostituzione.

Il 18,2% delle estorsioni.

Il 37,5% delle violenze sessuali (1.478 su 3.942 totali).

Il numero di omicidi, violenze sessuali e rapine tra il 2007 e il 2015, non è mai stato così basso, come anche in Europa (fonte Eurostat). Nonostante il forte aumento delle migrazioni.

Più stranieri, dunque, non significa più reati.

Dopo mesi di propaganda selvaggia e irresponsabile, è invece vero che sono aumentate le aggressioni (e i colpi di arma da fuoco) rivolti contro stranieri, per mere ragioni razziali.

Un tempo gli aumenti di popolazione straniera avvenivano in conseguenza di campagne di regolarizzazione. Ora no, ci sarà pure un motivo, o no?!

Sono le politiche restrittive a creare l’emergenza.

Le classi politiche italiane si sono impegnate a perseguire i migranti, invece di porre basi sociali e culturali per la loro accoglienza e integrazione. La logica è stata quella di trasformare il fenomeno da sociale a economico. Da umanitario in politico.

Ma l’Italia ha ambizioni produttive alte e tasso di natalità bassissimo.

Dunque partiamo da qui: un grande Paese, una grande Unione di 741,4 milioni di abitanti non può essere spaventata dall’arrivo di circa 20 milioni di stranieri.

In Italia meno del 10% della popolazione è straniera, eppure nel sondaggio analitico di Eurobarometro a inizio 2018 gli italiani intervistati hanno risposto che secondo loro circa 1/4 di loro sono stranieri. Come se fossero 14milioni, invece dei reali 6.

Il tema è epocale e inarrestabile, soprattutto adottando le ricette repressive che comportano più reati, repressione e isteria collettiva.

Alcune possibili ricette:

1) Rimanere lucidi, raccontare i fatti veri, mostrare i numeri, controbilanciare la propaganda;

2) Assorbire e includere, partendo da un’unica procedura europea comune per gestire le richieste di asilo che superi il trattato di Dublino;

3) Fermare le guerre in Siria, Libia, Eritrea, Afghanistan e impedirne di nuove;

4) Far fermare i siriani in medio oriente e nel golfo persico;

5) Effettuare investimenti nei paesi dei trafficanti di uomini;

6) Cancellare e superare la Bossi-Fini, favorendo i flussi non solo per i lavori stagionali;

7) Aprire canali umanitari;

8) Convincere la Turchia a concedere i visti di lavoro ai rifugiati;

9) Sviluppare cultura dell’inclusione nelle scuole europee, reintroducendo l’educazione civica e alla cittadinanza attiva;

10) Investire di più in formazione ed educazione, in cultura e in bellezza perché la convivialità è un diritto inalienabile dell’umanità.

Per fare tutto questo però serve l’Europa unita dei popoli: suffragio universale e voto diretto del Presidente della commissione; superare il Consiglio d’Europa e rimettere le decisioni ai Parlamentari europei; mandare 2000 giovani preparati nelle commissioni Ue.

 

***

 

Leave a Reply