Il Mezzogiorno non interessa a nessuno. Nemmeno alle classi dirigenti meridionali.

Il 21 e il 22 marzo 2019, il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping si è recato in Italia, accolto dalle massime cariche dello Stato, per sottoscrivere un memorandum d’intesa che dia corso alla strategia denominata “Belt and road initiative”.

Nel dibattito nazionale si è parlato di tutto, tranne che di Mezzogiorno.

Ecco le mie considerazioni, apparse oggi su “La Gazzetta del Mezzogiorno”.

Buona lettura.

“Caro Direttore,
penso che il Mezzogiorno dovrebbe appartenere alla schiera dei globalizzatori entusiasti. D’altra parte è sempre stata questa la nostra vocazione: la posizione geografica – un sottile lembo di terra, gettato nel Mediterraneo – ci ha resi nel corso della nostra storia millenaria da un lato esposti alle invasioni di popoli nemici e colonizzatori, dai greci ai romani, dai bizantini agli spagnoli; dall’altro pronti ad includere, accogliere, modificare i nostri e gli altrui comportamenti, sulla base della reciproca convenienza e della necessità di trarre giovamento anche dall’invasore straniero.

La naturale propensione delle genti meridionali allo scambio commerciale, dunque, non è semplicemente inscitta nel nostro codice genetico, sedimentatosi in secoli di navigazioni perigliose e di donne in attesa dei mariti come penelopi affaccendate nella lotta per la sopravvivenza; ma è parte profonda della nostra identità comune, è ragione di ricchezza per la stessa intera penisola italiana.

C’è anche un motivo strategico, a suggerire questa vocazione internazionale: il Mezzogiorno si sta drammaticamente spopolando. Secondo le stime dell’Istat, nel 2066 il 71% della popolazione nazionale risiederà nel centro-nord e solo il 29% al Sud, che oggi raccoglie invece circa il 34%. L’età media del Mezzogiorno, peraltro, sarà molto più alta e pari a 51,6 anni.

Sarà dunque più difficile per le imprese meridionali, vendere prodotti e servizi rivolgendosi al solo mercato interno.

Nel Mezzogiorno aumenteranno, invece, i costi dell’assistenza sociale e diminuirà la raccolta fiscale, per via della minore popolazione attiva, in età da lavoro.

Tali numeri, già gravi, verranno inaspriti dalla prevista mancata compensazione di flussi migratori e il saldo demografico continuerà a danneggiarci, a isolarci, a frenare il nostro sviluppo.

Per quest’ordine di motivi ho trovato imbarazzante la completa assenza di dibattito tra le classi dirigenti meridionali che siedono in Parlamento, di quale ruolo potessimo avere nella scelta geo-politica del Governo italiano di sottoscrivere il memorandum di accordi di adesione alla “Belt and road initiative” in virtù della quale ospitiamo in queste ore il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping.

Ho letto stamane i temi dei 29 accordi sottoscritti tra il Governo italiano e quello cinese, dei 50 inizialmente previsti e poi decurtati, forse a opera dell’intensa azione di contenimento della nostra politica estera, compiuta dagli storici alleati americani, in funzione anti cinese.

Ebbene il Mezzogiorno rientra solo due volte: con lo sblocco del mercato delle arance – che fa esultare il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando – e l’apertura ai voli del tour operator di Stato Ctis che premieranno anche gli Aeroporti di Puglia.

Poco, troppo poco per una terra che avrebbe bisogno di dare sbocco commerciale alle proprie imprese e che richiede da secoli maggiori investimenti in infrastrutture portuali, stradali, sanitarie e scolastiche.

Ad aggravare questa completa dimenticanza del nostro Mezzogiorno si aggiunge la beffa: la nuova via marittima della seta, uno dei due assi di scorrimento delle merci programmata dal Governo cinese, giunta via Suez al Pireo – già oggi di proprietà della cinese Cosco – si biforcherà nel Mediterraneo settentrionale per raggiungere gli scali terminali dei porti di – indovinate? – Trieste e Genova.

Ancora una volta il Sud viene clamorosamente dimenticato e, cosa ben più grave, nessun deputato, senatore o presidente di Regione se ne lamenta, gridando allo scandalo.

Bari o Taranto – porti assai più velocemente raggiungibili dai feeder della Cosco dal Pireo, con le loro agili 1.500 teu e ben collegati alle autostrade europee e al più sostenibile trasporto su ferro – avrebbero ben potuto essere considerati i terminali della via della Seta marittima.

Ne avremmo guadagnato in termini di investimenti diretti cinesi nelle nostre infrastrutture, in ricadute occupazionali dirette e indirette, in centralità culturale nel dialogo con la forza economico-sociale del far east e, ultimo ma non ultimo, nella conquista di nuovi potenziali mercati di sbocco delle nostre merci e della capacità innovativa delle nostre imprese di servizi.

Nulla, nessuna voce si è levata dal Mezzogiorno e, in questa triste afasia, ci accingiamo a votare per le elezioni europee senza riferimenti, senza una leadership del Mezzogiorno che non siano gli sconosciuti e assenti parlamentari eletti il 4 marzo, i simpatici masanielli locali o le rosse e sugose arance di Sicilia.

Un compito spetta, dunque, alla mia generazione: puntare con decisione al mondo, guardando con fiducia alle potenzialità degli scambi internazionali e – sul fronte istitutuzionale – alla creazione di macro regioni che superino l’attuale modello frammentario e divisivo, per dare forza ai territori e una nuova visione internazionale dell’Italia, nell’Europa dei popoli il cui Presidente sia eletto a suffragio universale, nel mondo nuovo della crisi del neoliberismo e del dominio americano sui mondo.

Silvio Maselli
Assessore alle culture e al turismo
Città di Bari

 

 

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