Ho ricevuto due sole istruzioni.

La bella e interessante rivista Amazing Puglia, al suo primo numero che trovate in edicola, ha deciso – bontà sua – di intervistarmi per fare un punto sui dieci anni di politiche per la creatività e il turismo, insieme a Giancarlo Piccirillo, in quanto ex direttori delle due principali agenzie regionali dell’audiovisivo e del turismo.

Ne è sortito un ragionamento articolato che mi aiuta a fare il bilancio anche dei primi tre anni e mezzo come assessore comunale alle culture e al turismo a Bari, la mia città.

Spero possiate condividere e magari anche ragionarci su.

Buona lettura.

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Sei stato uno dei protagonisti dei 10 anni di Vendola, come li giudichi? 

Sono stati anni magici, forse irripetibili, perché hanno rappresentato la massima coincidenza di due grandi linee tematiche della politica: la tradizione e la innovazione. Un uomo colto e sensibile, come Nichi, figlio della migliore storia comunista e libertaria meridionale, ha chiamato al governo alcuni dei suoi più capaci compagni di vita politica e, insieme a loro, ha gettato nella mischia quelli che reputava essere i migliori giovani della “Generazione X”, nati cioè tra i ’60 e gli ’80. Ne è sortita una classe dirigente straordinaria, coesa, solidale al suo interno, non animata da ambizioni sfrenate o guerre fratricide, ma dall’unico sogno utile: cambiare la propria terra, renderla migliore, innovare le forme della politica e amministrare con fantasia e probità. La cultura, l’emersione dal basso dei talenti, la fiducia, la trasparenza, il paesaggio, il turismo, l’attivismo, la libertà di rappresentarsi Mezzogiorno in modo dinamico, nazionale e internazionale, con una forte tensione sull’area adriatica e mediterranea insieme alla particolarità del leader, un omosessuale cattolico e culturalmente cosmopolita capace di vincere per ben due volte le primarie contro la vecchia nomenclatura, hanno dato coraggio e visione a tutte le classi dirigenti e ai cittadini: il cambiamento era non solo possibile, ma necessario e ben praticabile. Credo che questo mutamento, di stampo culturale, sia il fondamento della rivoluzione gentile.

In un contesto di forte attivazione sociale, che mi pare sia stata la vera cifra del “vendolismo”, questo innesco ha dato frutti straordinari, difficilmente replicabili. Perché anche nel momento di massimo consenso, Nichi non è mai stato l’uomo solo al comando, ma l’uomo “solo con tutti”.

Quanto è stato importante il ruolo della Apulia Film Commision? Cosa avete fatto di buono e cosa potevate fare di meglio? 

Quando all’età di 32 anni mi sono sentito chiamare da Vendola per costruire uno strumento allora del tutto sconosciuto alle nostre latitudini come un Film commission, ho ricevuto due sole istruzioni: realizzare la migliore agenzia dell’audiovisivo italiana e non pensare più alla destra e alla sinistra, ma solo ai bravi e ai ciucci. Sì, proprio così, mi fu detto: scegli solo i migliori per te, sii autonomo, noi ci saremo sempre, ma solo per risolvere le questioni politiche, non per entrare nel merito delle vostre scelte artistiche e manageriali.

In questa piena libertà era difficile sbagliare: la nostra generazione è la più preparata e cosmopolita della storia umana, Nichi è stato il primo a capirlo e a darci fiducia. Noi lo abbiamo ripagato realizzando semplicemente la migliore film commission italiana ed una delle più efficienti e originali a livello globale.

Credo che Film Commission abbia giocato un ruolo centrale, nel suo duplice aspetto di agenzia di marketing territoriale per far conoscere al mondo il valore della Puglia e di riflessività interna: i pugliesi hanno imparato ad apprezzare la propria terra perché ha un valore nel mondo e i più giovani sono stati invitati a specializzarsi sulle nuove professioni del futuro. Abbiamo inventato uno standard: oggi molte film commission realizzano festival, forum di coproduzione, corsi di alta formazione, meeting di business, feste nei festival, progetti memoria. Ma noi siamo stati semplicemente i primi a farlo bene. Quando arrivavamo a Bruxelles o a Los Angeles, ci vedevano giovani, preparatissimi e sprovvisti di interpreti, perché poliglotti. Facevano fatica a crederci italiani. A maggior ragione meridionali!

Ma non tutto ha funzionato come avevo immaginato: avremmo dovuto investire molto meglio sulla formazione dei talenti regionali, stimolando così anche il sistema d’impresa a investire.

L’assessorato alla Cultura al Comune di Bari è stata una promozione? 

Credo proprio di sì. La differenza tra ruolo tecnico e politico è nell’autonomia delle decisioni. Oggi non devo più tradurre in pratica le decisioni della Giunta regionale o del mio Consiglio di Amministrazione. Sono io, d’intesa con il Sindaco e il suo Programma, a determinare le scelte strategiche e a cercare il consenso su di esse: la Bari Guest Card, il Polo contemporaneo delle arti, i festival e i cartelloni stagionali, il rilancio del Museo civico e la reinvenzione dello Spazio Murat, il re-branding e il posizionamento turistico di Bari sono progetti che nascono dalla mia visione della città.

Quando Decaro mi ha proposto di entrare nella sua squadra, non ho avuto tentennamenti perché stimo Antonio, pensavo e penso che Bari avesse bisogno di lui. Ed eccomi qui adesso, fedele alle mie idee e all’idea di una Puglia migliore.

Cosa pensi delle nomine di Emiliano fatte dopo la sua elezione: è stato giusto fare lo spoiling system in Puglia Promozione, Apc, AdP… ?

Personalmente ho sempre ritenuto giusto lo “spoils system”: chi ottiene il mandato elettorale ha il diritto e il dovere di amministrare con la propria squadra e di essere giudicato anche per la qualità delle sue scelte. Il punto sono le politiche, non le persone. E su questo intravedo molta più continuità con la stagione di Vendola di quanto si dichiari.

Ne sono una prova l’investimento che si sta continuando a fare sul comparto culturale – dalle “community library” ai laboratori di fruizione – così come nel riuso (con il bando sui luoghi comuni), la valorizzazione di agenzie come Arti ed altre misure sulle povertà (RED), sui giovani con i PIN e sulla rigenerazione urbana.


Credi che la spinta propulsiva di quei dieci anni si sia spenta?
 

Non credo si tratti di questo. La Puglia ormai è cambiata. Ma siamo in una fase geopolitica differente.

Vendola ed Emiliano, con le loro squadre, sono stati i grandi inventori della partecipazione dal basso: la “Primavera pugliese” non era solo la loro vittoria elettorale. Era l’allargamento della democrazia, l’attivazione sociale, rendendo protagonisti i cittadini più dinamici, come i giovani. Ma non dimenticando mai i più deboli. E’ stata una grande politicizzazione delle masse, negli anni più bui del berlusconismo, che ha prodotto consapevolezza e coscienza politica. Ma i due percorsi si sono divaricati. Michele pur di vincere ha imbarcato un ceto politico a tratti imbarazzante. Nichi non ha capito che l’unico spazio rimasto per fare politica era il Pd, che avrebbe potuto scalare facilmente tra il 2010 e il 2011. Ma quella fase si è dissipata nella crisi economica, nel gelido tecnicismo del Governo Monti; un “sovversivismo dall’alto” per dirla con il Gramsci del 3° Quaderno e un’operazione politica dissennata pensata da Napolitano con la complicità di Bersani e D’Alema proprio per impedire a Vendola di prendersi la scena, invece che andando a votare immediatamente all’indomani delle dimissioni di Berlusconi, come sarebbe stato giusto. Quando poi si è arrivati alla coalizione “Italia bene comune” era ormai troppo tardi: le “fabbriche di Nichi”  e gli “EmiLab” si erano ormai dispersi andando a gonfiare le fila dei “Cinque stelle”, il peso del governo aveva consumato entrambi i nostri Michi e Nichi, la mia generazione è stata incapace di misurarsi con il consenso rigenerando il ceto politico, mentre il processo di Taranto (che ovviamente si chiuderà tra un decennio con la piena assoluzione degli imputati) ha mutato il clima politico in un segno negativo. Un giorno, a sinistra, inizieremo a parlare dell’incrocio perverso tra politica e giustizia. E di come una telefonata infelice, ma non penalmente rilevante, possa cancellare dieci anni d’innovazione e generosità politica.

Ma, tutto ciò detto, per quanto tutto sia perfettibile, noi pugliesi (e baresi in particolare) non torniamo indietro mai. Tutti, anche i più severi, dovranno riconoscere questa nostra “capacità evolutiva” – a differenza di altre regioni d’Italia – che poi è segno della nostra anima levantina: inquieti, intraprendenti, moderni, sempre alla ricerca di qualcosa, dell’ulteriore. Pensando alla recente scomparsa di Paolo Laterza, di cui legittimamente Amendola celebrava la scomparsa denunciando la fine della borghesia, io dico: Bari riparte da logiche e protagonismi nuovi. Sta a noi individuarli e valorizzarli. Come al tempo il PCI o la De Donato facevano con le future classi intellettuali della città, oggi dobbiamo capire cosa si celi dietro la nuova libereria Zaum o nell’enorme pubblico delle “Lezioni di storia” o di un concerto pianistico all’alba a Torre Quetta, cosa succede nei Teatri di Bari con cartelloni splendidi che non hanno nulla da invidiare alle grandi città europee.

Dove sta andando la Puglia? 

Dove la porteranno i suoi cittadini.

La Puglia ha un destino segnato che è quello di essere una splendida “eccezione meridionale”. La Puglia è e sempre sarà “il non ancora Nord” efficiente e dinamico e “non più Sud” nei suoi stereotipi barocchi e borbonici. Il fatto di avere sempre avuto una borghesia commerciale e non nobiliare – di cui l’esperienza del Petruzzelli è simbolica – ci salverà sempre dall’immobilismo meridionale, ma ci consegnerà ancora l’insoddisfazione culturale che spesso lamentiamo. In Puglia abbiamo e avremo sempre eccellenze imprenditoriali nella meccatronica, nell’informatica e nell’edilizia; spesso trascuriamo invece la cultura come una sovrastruttura che non serve. E quanta fatica nell’art bonus e nelle sponsorizzazioni! Quando le imprese pugliesi capiranno quanto vale il proprio patrimonio culturale e quanto non toglie al proprio business (anzi) allora saremo adulti.

Come ti trovi nel tuo nuovo ruolo, e quali sono i progetti a cui tieni di più? 

La politica attiva è completamente diversa dai ruoli tecnici. Al tempo dei social media, peraltro, tutto è ancora più complesso, perché da un lato i cittadini sono ultra informati, dall’altro seguono “trend topic” completamente scollegati dalla realtà e per chi amministra seguendo un programma e una visione (d’altra parte Decaro è un Ingegnere e al programma ci tiene assai!) diventa complicato tenere sempre al centro la barra. E’ un pendolo: da un lato devi produrre consenso e gestire relazioni con tutti. Dall’altro sai che risorse scarse, debolezza della macchina amministrativa e scarsità del tempo a disposizione rendono indispensabile raggiungere gli obiettivi che ti sei dato e non accontentare tutti, come un tempo tendeva invece e purtroppo a fare la politica.

Ma nel complesso sono contento perché, a fine mandato, Bari avrà un Polo contemporaneo delle arti di cui si è parlato per due decenni e noi l’avremo fatto in soli cinque anni; una grande Public library nella ex Caserma Rossani nel frattempo liberata e aperta in forma di parco polifunzionale come le sinistre hanno sempre chiesto per decenni; delle politiche culturali organizzate per stagioni (Natale a Bari, Estate a Bari) e per luoghi finalmente riaperti e valorizzati (dal Castello a Torre Quetta, dal Fortino al Museo civico, dalla Officina degli Esordi a Spazio 13, dal Piccinni allo Spazio Murat, ecc.). E il rapporto con il mare sarà ricucito grazie all’apertura del museo archeologico di Santa Scolastica, di Santa Chiara, del nuovo lungomare di San Girolamo, di San Nicola e nelle ex frazioni a sud e nord della città. Bari è dentro un ciclo keynesiano pazzesco, con oltre 30 cantieri aperti o in via di apertura ed io sono orgoglioso di far parte di questa stagione poco rutilante, ma assai concreta e visionaria.

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