Era mio padre.

Questo è un post molto, molto personale.
Ho provato a buttar giù quello che ho detto ieri a braccio in occasione dei funerali di mio padre.
Sono pensieri che ho condiviso con le centinaia di persone che assiepavano la chiesa.
Mi fa piacere e mi serve, forse, tenerne traccia scritta sul mio blog.

Ascoltando: “The Köln Concert”, Keith Jarret, ECM 1975, Parte I.

 

“Chiunche nasce a morte arriva.

In me la morte, in te la vita mia.” 

Michelangelo Buonarroti

 

Nel 1989, all’età di circa quattrordici anni, con la consueta timida e impacciata risolutezza, mio padre mi comunicò di essere ammalato in una forma lieve, di distrofia muscolare, una patologia neurologica progressiva che lo avrebbe portato prima o poi alla morte.

Era nato poverissimo in una famiglia numerosa, ultimo di 8 figli, nel 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale. Era l’ultimo tributo di carne alle mire espansionistiche dell’italietta fascistissima di Mussolini. Tempi nei quali non esisteva alcun approccio epidemiologico o profilassi contro le malattie genetiche.
La sua, in particolare, si trasmette dalla madre portatrice sana, ai soli figli maschi. Tutti i maschi dei Maselli di quel ramo (tranne uno, morto prematuramente in un incidente stradale, proprio colui il quale fece da vero padre per mio padre), furono affetti dalla distrofia.

Dal momento di quell’annuncio e per anni, forse ogni giorno, ho immaginato come avrebbe potuto essere il funerale di mio padre.

Dal punto di vista psicanalitico, infatti, la perdita del padre è un trauma fortissimo. In una famiglia il padre rappresenta colui il quale afferma la legge e perderlo significa smarrire la retta via, trovarsi soli al mondo, darsi regole proprie.

La vita andò avanti comunque, allora. Ci eravamo appena e nuovamente trasferiti a Bari, dopo una breve parentesi di tre anni in una lottizzazione di campagna, a dieci chilometri dalla città. Io iniziavo il Liceo, nuovi amici, l’impegno politico e nuove sfide mi avrebbero portato a essere quel che sono oggi.

Capii allora i motivi per i quali mio padre, a differenza dei padri dei miei amici, pur avendomi insegnato a nuotare, a guidare la macchina sulle sue ginocchia, ad andare in bici; non giocasse mai con me a pallone nelle gite fuori porta, non mi sfidasse in corse podistiche o in gare ciclistiche.

Col tempo però ho capito tutto.

Mio padre non poteva usare con la forza necessaria i suoi quattro arti, pur camminando da solo come fosse sulle uova e lottando contro continue cadute. Eppure aveva due braccia e due gambe straordinariamente forti, solide, muscolose.

La gamba sinistra era quella dell’onestà. Un principio per lui irrinunciabile, militante. Non tollerava la violazione di questa legge semplice e perfetta. Si può contare solo sul proprio lavoro. Non si ruba. Mai.

La sua gamba destra era quella della schiettezza. Se doveva darti un calcione metaforico dietro al sedere, lui sapeva usarla benissimo, la sua gamba destra. A costo di farti male, la sincerità rappresentava la sua seconda legge fondamentale.

Al posto di un nerboruto braccio sinistro, aveva il senso di responsabilità, la capacità di capire sempre quale fosse il suo dovere. Era un lavoratore instancabile, appassionato, completamente coinvolto. Ed un marito tanto lamentoso – ha fatto martire mia madre – quanto premuroso, capace nei momenti più critici che abbiamo vissuto – eccome se li abbiamo vissuti – di farsi carico dell’intero peso familiare. Aveva un braccio fortissimo, d’altra parte, poteva permetterselo.

Il suo braccio destro, il più forte, era la generosità.

Ha trascorso tutta la sua vita professionale, dopo aver vinto il concorso, all’INPS, occupandosi di ragioneria e contabilità. Non so dire quante, forse centinaia, se non migliaia di persone, fuori dal lavoro, abbia aiutato a compilare le dichiarazioni dei redditi o a fare domanda per ottenere la pensione.

Persone umili, spesso analfabete, che si rivolgevano a lui per passaparola, amici di amici di amici; accolti tutti allo stesso modo. Come un dono, per lui, di risarcire il mondo della fortuna che aveva avuto. Ebbe la possibilità di studiare e, pur non avendo terminato gli studi universitari per mancanza di volontà (suo grande rammarico), dopo aver vinto il concorso, mio padre conquistò il sogno piccolo borghese della solidità economica come riscatto sociale.

In età più matura, dopo la pensione, iniziò a frequentare un patronato della CGIL dove lo accolsero come un super consulente. Per lui erano sciocchezze e si sorprendeva sempre di scorgere lo stupore delle persone più umili che, ottenute le agognate pensioni minime, dopo vite spese a lavorare spesso a nero o con percorsi contributivi zoppicanti, si rammaricavano dinanzi al suo fermo rifiuto di ricevere regali.

Generosità, senso di responsabilità, schiettezza e onestà. Ecco mio padre, Armando Maselli.

Il nostro eroe.

Non potevamo sapere ancora che l’eroe sarebbe poi morto da guerriero.

Lo scoprimmo tre anni fa, quando una brutta radiografia ci diede la diagnosi: per venti o forse trent’anni una invisibile fibra di amianto aveva prodotto un tumore invincibile nella sua pleura sinistra. Le linee guida del mesotelioma pleurico danno la sentenza inappellabile: tra i tre e i sei mesi di vita dalla scoperta del male. Undici mesi e mezzo, secondo la mediana.

Grazie ad un’alleanza terapeutica formidabile con il team guidato dal Dott. Cosimo Damiano Gadaleta ed in particolare grazie al suo oncologo Dott. Girolamo Ranieri dell’oncologico di Bari, nostro padre ha vissuto da allora quasi tre lunghi, difficili e bellissimi anni.

Tre anni nei quali ha dato a sua moglie Rossana Recchimurzo, a me e a mia sorella Alessia, per nostro tramite ai nostri figli e agli amici e parenti tutti, il suo insegnamento definitivo: la lotta senza quartiere per la vita va combattuta con dignità, con affidamento paziente. Non lasciatemi solo, scusatemi per il fastidio che vi do, diceva. Non sapeva che, ad ogni richiesta, ci lasciava un insegnamento.

E’ davvero simbolico che noi abbiamo celebrato il suo funerale nella Giornata mondiale delle vittime di amianto. Noi, che perdiamo un padre, vittima di amianto.

Grazie di tutto, Armando.

 

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Armando Maselli
Bari, 14.11.1941
Bari, 27.04.2018

 

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