Due o tre cose che so di Bari e della giustizia sociale possibile.

Le città sono nate per garantire un più facile accesso alle fonti di approvvigionamento, ai servizi e per consentire la socializzazione che, nella loro dislocazione orizzontale, le campagne non potevano garantire.

Tutta quella umana è stata una storia di civilizzazione e inurbamento. D’altronde oggi il 55% della popolazione mondiale, vive nelle città e si stima che la percentuale salirà al 66% nel 2050. Non a caso tutte le politiche di programmazione si stanno ponendo il problema semmai contrario, quello cioè dello spopolamento delle aree interne e della contrazione del lavoro nelle campagne, che porterà tanti piccoli centri rurali a scomparire se, nel frattempo, politiche specifiche non ne consentiranno un nuovo sviluppo.

Perché parto da qui?

Perché non è possibile immaginare una città coesa, solidale, giusta ed equilibrata, se la stessa non è capace di attrarre nuovi cittadini, di includere nella cittadinanza gli stranieri migranti, di formare e attrarre talenti, di creare nuove occasioni di lavoro e di ricchezza. Perché si possono redistribuire risorse, solo se le stesse si producono, possibilmente in settori economici capaci di evitarne la concentrazione in poche mani.

Le grandi Capitali del mondo, sanno essere città attrattive, sia sotto il profilo turistico, sia per la capacità di soddisfare il bisogno di lavoro e l’accesso a tutti i servizi, da quelli formativi a quelli sanitari, da quelli culturali a quelli ricreativi perché attraggono investimenti e generano nuovi servizi.

Quando noi ci siamo insediati, due anni e mezzo fa, la città di Bari era – come in parte ancora è – gravemente sotto dotata di servizi e di funzioni culturali.

Manca a Bari un museo archeologico, uno moderno, uno contemporaneo. Manca una casa delle musiche, manca l’auditorium, una grande biblioteca pubblica, uno spazio per i bambini e la loro formazione extra scolastica. La sala Murat era ricettacolo della qualunque, mentre mancava il Castello, chiuso per lavori. Formiamo ancora oggi i futuri artisti dell’Accademia di Belle Arti in una serie di appartamenti su di una via trafficata e rumorosa. Abbiamo dimenticato sotto terra i nostri meravigliosi ipogei. Il patrimonio culturale di Bari vecchia era abbandonato, il Museo civico chiuso, i turisti brancolavano nel buio senza indicazioni. A Bari tutt’ora manca il Piccinni, per il suo restauro. Manca l’Auditorium e il grande Petruzzelli era un teatro di élite.

Se non si comprende, dunque, che l’amministrazione è cosa diversa dalla produzione dei sogni e dalla narrativa visionaria tipica della funzione politica, non si capiscono Decaro e la sua giunta.

In meno di metà del nostro mandato abbiamo portato a definitiva soluzione una serie di gravi mancanze e di grattacapi micidiali ed entro la fine del nostro mandato Bari avrà aperto tutto quel che ho elencato, o sarà pronto a esserlo.

Nel frattempo con i Family concerts, tutte le classi sociali assistono a concerti di qualità a un euro e riempiono il Petruzzelli sino all’inverosimile. Altro che divisione di classe della cultura a Bari! E in tante periferie operano teatri privati, da noi sostenuti, che producono spettacoli e dialogo con le comunità lì residenti.

Oggi siamo pronti a crescere ancora di più con il turismo. Per questo il Sindaco combatte le gang e i mafiosi locali che operano tramite fornacelle abusive ed è finito sotto scorta. Cosa mai accaduta prima, a Bari, a un Sindaco.

E per questo ho tanto insistito sulla Bari Guest Card e sulla definizione del Brand turistico del capoluogo: perché vogliamo mettere tutta la nostra offerta in rete e venderla al meglio ai turisti e renderla accessibile e comprensibile ai nostri concittadini.

Se Bari sarà più attrattiva e bella, più sicura e capace di accogliere i grandi eventi così come le sempre più frequenti riprese cinematografiche, vedrà crescere la sua economia, gli allievi dei nostri istituti alberghieri potranno trovar lavoro qui, senza scappar via; i baresi impareranno ad amare e riconoscere di più la bellezza della città e le periferie saranno meno escluse grazie alla ricchezza generata dalla città tutta e al lavoro creato.

Nonostante i generosi sforzi della mia collega con delega alla Solidarietà, noi siamo ancora in parte schiacciati su un modello di welfare di ultima istanza, perché Bari non offre ancora le occasioni che una grande città deve offrire.

Solo tornando competitivi come sistema urbano complesso, grazie all’area metropolitana e alle connessioni con essa, grazie a servizi più efficienti (dalla igiene urbana al trasporto pubblico locale) saremo in grado di generare ricchezza e attrarre investimenti e redistribuire risorse e lavoro, non solo servizi sociali che arrivano quando ormai è troppo tardi e le famiglie più fragili si sono già schiantate al suolo.

 

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